
Gesù lava i piedi ai suoi Apostoli Dio si consegna a noi nell’Eucaristia.
Carissimi Fratelli e Sorelle nel Signore, il Vangelo dice: «Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13, 1Questa disposizione del Signore ci fa ricordare oggi il gesto eloquente che Gesù compì prima di consegnarsi ai suoi nemici, lavando i piedi ai suoi apostoli. Durante l’Ultima Cena, nell’imminenza della Sua Dolorosa Passione, il clima all’interno del cenacolo era di amore, di intimità, di raccoglimento. «Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto» (Gv 13, 3-5). Per gli apostoli il suo gesto d’Amore dovette essere piuttosto scioccante nel vedere Gesù che era riservato, di lavare i loro piedi. Lo avranno capito certamente dopo qualche tempo. Anche oggi a noi può apparire sorprendente immaginare Dio in questo atteggiamento, mentre ripulisce con le sue mani dalla polvere della strada. Lasciarci lavare i piedi da Cristo vuol dire riconoscere che non siamo noi a renderci puri, puliti o santi. «Questo è difficile da capire. Se non lascio che il Signore sia mio servo, che il Signore mi lavi, mi faccia crescere, mi perdoni, non entrerò nel Regno dei Cieli, ma sarò condannato alla perdizione eterna. Dio ci ha salvati compiendo un gesto di servizio. Generalmente pensiamo che siamo noi peccatori quelli che serviamo Dio. No, è lui che ci ha servito gratuitamente, perché ci ha amati per primo. È difficile amare senza essere amati, ed è ancora più difficile se non lasciamo che Dio ci serva con Amore di Padre.
Dio si dà a noi nell’Eucaristia
Dopo che Gesù lava i piedi ai suoi apostoli, dobbiamo discernere che il suo amore e la sua umiltà raggiungono altezze infinite quando, durante la Sua Ultima Cena, «prese il pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”» (1 Cor 11, 23-25). Il Signore che si fa servo per noi peccatori istituì questo sacramento come memoriale perpetuo della sua passione, come realizzazione delle antiche figure, come il miracolo più grande che abbia compiuto e la consolazione più grande per quelli che avrebbe lasciato tristi con la sua assenza. Si dà a noi Egli stesso: convertito in pane e in vino per noi, è, nello stesso tempo, una dimostrazione di sovrabbondanza di amore e la più grande espressione possibile di umiltà. Il Sacramento Eucaristico ci permette di identificarci con l’amato, di essere una stessa medesima cosa, di fonderci, totalmente in Dio. Per quanto possiamo immaginare tutto quello che Dio Padre ci ha regalato, mai saremo in grado di comprenderlo: È medicina di immortalità, antidoto per non morire in eterno, rimedio per vivere in Cristo per tutta l’eternità. Non meritiamo tanta grazia, tanto affetto, tante attenzioni. Cerchiamo di corrispondere, ma anche per far questo abbiamo bisogno del suo aiuto.
Una disposizione di gratitudine per l’Eucaristia e per il sacerdozio Nelle parole di noi Vescovi e Sacerdoti che precedono la consacrazione – «ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse…» – percepiamo la disposizione grata del cuore di Gesù nei confronti di Dio Padre. Noi vogliamo avere la stessa disposizione di Cristo in questa santa vigilia della Sua Passione. Facciamo in modo di amare quelli che egli ama e come egli li ama: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34). Per Cristo, con Lui e in Lui, siamo capaci di amare fino alla fine. Come Gesù, ci inginocchiamo davanti agli uomini per lavare i loro piedi e da lì comprendiamo le loro indigenze e le carichiamo sulle nostre spalle, per alleviare in nome di Cristo il loro dolore. Scompaiono dai nostri cuori e dalle nostre menti i giudizi, le invidie e i paragoni, che diventano: preghiera, intercessione, gioia e gratitudine verso Dio per le meraviglie che opera negli altri. Nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa quella VERA, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e Pane vivo disceso dal Cielo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo, dà vita agli uomini. Da lì traiamo forza e vita per portarle fino agli estremi confini della terra, fino al cuore di ogni persona che ci sta attorno. In questa giornata nella quale Dio donò alla sua Chiesa questo Sacramento per pregare anche per la santità dei vescovi e dei sacerdoti, perché servano ogni giorno la Chiesa con lo stesso amore del Signore, fino alla fine del mondo. Con la nostra preghiera possiamo aiutarli a realizzare quel desiderio che li spinge come sacerdoti. Non scegliamo noi cosa fare, ma siamo servitori di Cristo nella Chiesa e lavoriamo come la Chiesa ci dice, dove la Chiesa ci chiama, cercando di essere proprio così: servitori che non fanno la propria volontà, ma la volontà del Signore, siamo realmente ambasciatori di Cristo e servitori del Vangelo. Oltre al dono grande dell’Eucaristia, dobbiamo comprendere che Gesù ci ha donato Maria come sua Madre. Lei, è la principale testimone del sacrificio di Cristo sotto la Croce, e quindi, possiamo ricorrere per avere, con il suo aiuto e protezione, una vita stimolata dall’umile gratitudine per i tanti doni ricevuti, grazie al Cuore Sacratissimo di Suo Figlio, Gesù Cristo Nostro Signore.
Dato A Roma nella Sede Episcopale il 28 Aprile 2024
++ Salvatore Micalef
Arcivescovo Primate