De Ficchy Giovanni

Le tesi anti-euro rimpiangono una politica economica di svalutazione dannosa e al giorno d’oggi non più proponibile.
I governi Amato e Ciampi, hanno sfruttato, la possibilità che al tempo il nostro paese aveva di svalutare la divisa, (la lira), rispetto ai concambi esteri, ossia su marco e dollaro, di circa il 6% ogni semestre, ciò significava che dall’estero percepivano, i prezzi dei nostri prodotti e servizi molto competitivi, e allora eravamo subissati di ordini di merci, e di turisti che venivano a passare una splendida vacanza, nel nostro bel paese, a prezzi molto contenuti.
Negli anni successivi alla famosa “svalutazione competitiva” del 1992, tanto decantata dai vari “no-Euro” nostrani, il tasso di disoccupazione aumentò di 2 punti percentuali, rimanendo sopra il 10% dalla fine del 1993 all’inizio del 2001.
In realtà in quel periodo di svalutazione, stavamo solamente drogando la Nostra economia, entrando in maniera repentina nell’euro infatti abbiamo importato in un solo giorno circa il 90% di svalutazione creata in maniera artificiosa, sui mercati dei cambi, perciò a tutti è sembrato che i prezzi raddoppiassero.
L’Italia con la introduzione della moneta unica ha perso il controllo del cambio e del tasso di interesse (delegati alla Banca centrale europea, Bce) ed è limitata nella gestione della politica fiscale (per i vincoli di bilancio).
Ma vi sono molti risvolti positivi verificatisi in Europa con la libera circolazione delle merci, delle persone e dei capitali, nonché con la nascita della moneta comune, l’euro.
L’unificazione monetaria diede un impulso potente allo sviluppo del paese., ed ancora può essere un fattore di crescita altrettanto efficace, basti pensare però alla moneta come un mezzo e non come un fine.
L’euro insomma è stato un successo ma serve fare di più. «I cittadini europei sanno che il mondo sta cambiando e sanno che l’unione fa la forza: circa due terzi degli europei sono convinti che l’Ue sia un baluardo di stabilità»
Infatti il lavoro non è finito, anzi.
Nascono e si sviluppano, nuove economie quali la Cina, e l’India, e la competizione si fà sempre più serrata.
Quindi è necessario e vitale fronteggiare i grandi produttori asiatici, e la politica industriale si presenta come quella tessera del domino che, se non posta precisamente sul tavolo, rischia di far crollare tutte le altre.
Scontiamo oggi l’assenza di una visione e di una strategia nazionale, che manca da tantissimi anni, infatti lo stato è uscito repentinamente dall’economia nazionale.
Un chiaro filo che unisce l’assenza di una strategia industriale con il declino sociale dei ceti produttivi, è visibile a tutti.
Che però non ha acceso risposte politiche adeguate per lunghi decenni.
Le grandi privatizzazioni dei Gruppi pubblici furono una risposta congiunturale all’urgenza di porre rimedio allo strabordare del debito pubblico, cresciuto, in quel tempo, proprio a causa dell’inflazione, a dismisura.
I gruppi divenuti poi privati, hanno perseguito, i risultati economici di breve tempo, beneficiando di volta in volta i”capitani coraggiosi”, a cui erano stati affidati, spesso per un millesimo del valore.
Gli stessi gruppi, poi adeguatamente finanziati dalla cassa integrazione, dalle politiche assistenziali, dei vari governi di breve durata, mediamente 18 mesi, non avevano consentito il raggiungimento di dimensioni adeguate per poter competere, sul mercato globale.
Grazie all’incapacità dei nostri governi di agire in modo strutturale sulla riduzione del debito, del deficit, della spesa pubblica, della pressione fiscale, di liberalizzare in modo più rapido il nostro mercato interno e di riformare aspetti importanti come il sistema educativo, quello bancario e quello giudiziario, abbiamo così perso due decenni.
Il vecchio mondo si trova oggi a dover affrontare nuove sfide, geopolitiche, economiche e climatiche, e la risposta va trovata in una cooperazione sempre più stretta e ambiziosa con gli altri partner europei.
L’economia italiana infatti è in grado di recuperare la produttività senza ricorrere alla svalutazione.
L’innovazione e l’efficienza dei processi economici, perciò, produttivi, è l’architrave della qualità della vita dei propri cittadini.
La stagnazione della produttività, produce la stagnazione dei salari.
La recente e finalmente lungimirante riforma del Fondo di Garanzia, istituito presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, potrà sortire effetti positivi, potrà consentire l’accesso al credito a un numero maggiore di realtà produttive.
Due dei principali settori che hanno fatto del nostro Paese la seconda potenza industriale d’Europa sono in una situazione dalla quale, senza una svolta strategica complessiva, non potranno riemergere.
Parliamo, per la precisione, della siderurgia e dell’automotive.
Due settori, tra l’altro, legati tra loro perché il primo fornisce materia prima al secondo.
La chiave di volta del successo per l’Italia, è rappresentata della diversificazione dei settori produttivi, bene fà il governo attuale a spingere sul turismo, che ha registrato in questi ultimi anni , record di presenze e di introiti, sul comparto delle esportazioni, che stanno registrando un nuovo record, portandoci al 4* posto assoluto nella graduatoria mondiale.
La nostra innata capacità di innovare, la nostra creatività potranno poi fare la differenza in molti settori dell’economia, aumentando i salari, aumentando però la produzione e la qualità dei nostri beni e servizi.