De Ficchy Giovanni


Nel decimo capitolo della vita di Giulio Cesare Plutarco ci riferisce che, in occasione di una festa esclusivamente femminile, dedicata alla dea Bona, Pompea, moglie di Cesare, introdusse nella sua abitazione un certo Clodio, suo spasimante, travestito da donna.
L’inghippo fu scoperto, Clodio trascinato in tribunale e Cesare citato come testimone.
Alle domande del Pubblico Ministero, l’Imperatore rispose che non conosceva Clodio e che nulla sapeva dei suoi inganni.
Il magistrato, non soddisfatto dalla risposta, lo pregò di essere più chiaro.
A questa domanda Cesare rispose che la moglie dell’Imperatore doveva essere al di sopra di ogni sospetto, privilegiando l’apparenza piuttosto che la realtà dei fatti.
La vicenda alla quale mi riferisco, adoperando questa metafora, è quella che vede da una parte il Governo Meloni, impegnato a cercare di trovare una soluzione per la vicenda della immigrazione clandestina e dall’altra la dottoressa Silvia Albano, 63 anni, componente della sezione immigrazione del tribunale capitolino, presidente di Magistratura Democratica, nonché colei che ha firmato la sentenza sui Cpr in Albania.
La giudice in questione ha esplicitato in più occasioni la propria contrarietà verso le politiche del governo in tema di lotta all’immigrazione clandestina siano gli stessi chiamati poi a decidere sui respingimenti. Più che ravvisare una incompatibilità funzionale, c’è dunque da chiedersi se non sia il caso che chi ha posto in atto queste condotte sia assegnato ad altra sezione.
In effetti la giudice non ha lesinato critiche al piano Albania, nonostante il suo (presunto) ruolo imparziale.
Le sue tesi sul progetto del governo in materia di immigrazione risalgono già a più di un anno fa, quando marchiò il piano come “una deportazione”, una “violazione dei diritti umani e delle norme comunitarie” e anche “un respingimento collettivo che è vietato dalle direttive europee”.
la toga rossa numero uno ha infatti preso le difese della collega Iolanda Apostolico, la giudice di Catania che nel 2018 manifestava davanti alla nave Diciotti per i porti chiusi e che a ottobre scorso ha firmato una serie di provvedimenti di non convalida del trattenimento di alcuni clandestini nei centri per il rimpatrio, disapplicando così il Decreto migranti.
In un’intervista rilasciata a Repubblica lo scorso dicembre, la Albano non aveva utilizzato troppi giri di parole: “Immagino che ci sarà una pioggia di ricorsi su cui dovremo pronunciarci.
E se non ci sarà una legge di ratifica che definisca le deroghe al quadro normativo nazionale previste da questo protocollo non potremo che prenderne atto”.
La giudice di Padova aveva aggiunto che “le variazioni di legge devono essere compatibili con le direttive europee” e che “l’extraterritorialità necessita di una legge, non si dichiara con un protocollo”.
Una considerazione di un giudice o di un esponente dell’opposizione?
In conclusione chi veste la toga dovrebbe sapere bene che il primo requisito per l’esercizio delle proprie funzioni è l’imparzialità nell’applicazione della legge che non può essere strumento per vedere attuate le proprie idee.
