Intrappolato nel dolore
Un saggio di Rodin Pavel Macra Parnia, allievo della settima classe, Liceo Internazionale King George di Bucarest, Romania. Tradotto in italiano dal Prof. Tudor Petcu.

Rodin Pavel Macra Parnia è un allievo della settima classe presso il Liceo Internazionale King George di Bucarest e, in questo momento, sta svolgendo anche un progetto per la NASA.

Questo saggio è una vera analisi dei significati metafisici del dolore, in cui si evidenzia il legame tra il dolore e altri due concetti fondamentali: la libertà e l’anima. In altre parole, come possiamo raggiungere, tramite il dolore e la sofferenza, la vera libertà che rappresenta, di fatto, la nostra anima?


Mi sentivo intrappolato. Intrappolato nel mio stesso dolore, intrappolato tra i mondi che avevo creato. La mia mente era imprigionata, proprio come il mio corpo, in una stanza che era sia fisica che mentale. Una stanza con pareti che non cambiavano mai, sempre dello stesso colore, della stessa forma, mentre la mia anima rimaneva confinata, a guardare fuori da una finestra e da una porta.

La porta… offriva libertà, un modo per entrare nel mondo. Eppure io rimanevo dentro. La finestra… mi mostrava il mondo come avrebbe dovuto essere, non come era. E le pareti… erano inflessibili, sussurrando che nulla sarebbe mai cambiato. Alle pareti non importava. Rimanevano le stesse, mentre solo le anime intrappolate al loro interno potevano ricordare cosa fosse un tempo la vera felicità, la felicità barattata con ciò che il mondo ora chiama denaro.

C’era un ragazzo in quella stanza. Un ragazzo che aveva tutto ciò di cui aveva bisogno, almeno questo è ciò che si diceva. Ma era ancora intrappolato, non dalla forza, ma da qualcosa di più potente: il peso invisibile delle sue stesse scelte. La gente gli diceva:

“Dovresti essere grato per quello che hai. Concentrati sul buono. Vai avanti. Cresci. Evolvi.”

Ma come avrebbe potuto? Aveva rinunciato all’amore. Aveva rinunciato alla famiglia. In cambio, non aveva ricevuto altro che quattro mura, un pavimento, un soffitto, due finestre e una porta.

Una porta che poteva attraversare in qualsiasi momento.

Ma non lo fece.

Perché, anche se la porta era aperta, le catene attorno a lui erano più strette che mai. Catene fatte non di ferro, ma di paura, rimpianto ed echi di un passato che non avrebbe mai potuto annullare. La sua stanza, un tempo vuota, ora traboccava del peso dei suoi ricordi: il suo passato, il suo futuro, il suo presente. Era circondato da tutto ciò che aveva guadagnato, eppure non riusciva a vedere o sentire nessuno. Stava annegando nella sua solitudine.

Cominciò ad apprezzare la stanza, proprio come un prigioniero, alla fine, apprezza la sua cella. Perché, dopo un po’ di tempo, persino una gabbia inizia a sembrare casa.

È una storia triste?

Lascia che ti racconti il resto.

Perché una farfalla possa volare, deve prima essere un bruco. Deve sopportare i mesi della trasformazione, il dolore di liberarsi del suo vecchio sé, la pazienza di aspettare nell’oscurità. Solo allora può emergere: qualcosa di nuovo, qualcosa di bello, qualcosa di libero.

Il ragazzo era un bruco.

E aveva bisogno di volare.

Ma per farlo, doveva trasformare le sue catene in ali. Doveva lasciar andare, non solo la stanza, ma anche il senso di colpa che lo teneva lì. Doveva liberarsi.

Perché casa non è una stanza. Casa non è quattro mura e un tetto.

Casa è qualcosa di più grande. Non è un posto, è un sentimento. È dove la tua anima è libera. È dove l’immaginazione, la libertà e l’amore non sono intrappolati, ma autorizzati a vagare.

Ma il ragazzo non aveva una casa. Non ancora.

Perché, anche se capiva tutto questo, qualcosa lo tratteneva ancora. Non erano le mura. Non la porta. Nemmeno le catene.

Era lui stesso.

Anche se fosse uscito, qualcosa sarebbe comunque mancato. Qualcosa che non si poteva trovare in nessun luogo, se non dentro di sé. E se non l’avesse trovato, sarebbe rimasto intrappolato per sempre. Non nella stanza, ma nel limbo, perso in uno spazio infinito dove niente era reale, dove niente era casa.

Perché nella vita la tristezza rimane sempre. Puoi provare ad andare avanti, ma non se ne va mai veramente. E, se glielo permetti, costruirà un mondo intorno a te. Un mondo fatto di tutto ciò che hai sempre desiderato.

Ma quel mondo sarà la tua prigione.

Per essere veramente libero, devi andare oltre la tua tristezza. Devi trovare amore, curiosità e gioia. Devi trovare qualcosa, o qualcuno, che ti faccia sentire vivo.

Perché nessuno può dirti che hai tutto ciò di cui hai bisogno.

Non ce l’hai.

Non ancora.

Tutto ciò che possiedi è solo un oggetto. Non ha alcun significato. Nessun vero valore. Le uniche cose che contano sono quelle che non hanno prezzo, quelle che ti fanno sentire, che ti ricordano perché sei vivo.

Questa è la storia di come un ragazzino è scappato da una stanza con quattro mura, un soffitto e un pavimento.

Una stanza con una porta per uscire…

E due finestre, dove speranza e paura si scontrano.

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