
Al 23 febbraio 2025, la situazione finanziaria dell’Italia riflette una combinazione di resilienza e sfide strutturali persistenti. Il paese, terza economia dell’eurozona, sta navigando un percorso delicato con un elevato debito pubblico, una crescita modesta e un quadro fiscale in restringimento.
Il debito pubblico italiano si attesta intorno al 140% del PIL—secondo solo alla Grecia nell’UE—e si prevede che salga al 141,7% nel 2025 e al 142,9% entro il 2026, secondo le stime della Commissione Europea di novembre 2024.
Questo aumento è guidato dall’impatto ritardato dei massicci crediti fiscali per le ristrutturazioni edilizie (come il Superbonus, costato oltre 200 miliardi di euro dal 2020) e dai pagamenti di interessi persistenti, nonostante avanzi primari.
Nel 2024, il deficit dovrebbe scendere al 4,3% del PIL dal 7,2% del 2023, grazie alla graduale eliminazione dei sussidi energetici e a entrate fiscali robuste. Si prevede che si riduca ulteriormente al 3,7% nel 2025 e al 3,2% nel 2026, in linea con le regole fiscali dell’UE che impongono una riduzione graduale a partire dal 2025.
Tuttavia, trovare 20 miliardi di euro per finanziare le promesse di bilancio del 2025—come tagli fiscali e aumenti salariali nel settore pubblico—rimane un ostacolo, come indicato nelle proiezioni del governo di aprile 2024.
La crescita è debole.
Il PIL è cresciuto dello 0,9% nel 2023, rallentando a un stimato 0,7% nel 2024, con previsioni dell’1% nel 2025 e dell’1,2% nel 2026.
Questo è inferiore rispetto a paesi come Germania (1,3%) e Francia (1,4%) nel 2025, secondo il FMI.
La domanda interna è fiacca—i consumi privati stanno aumentando lentamente (0,6% nel 2024, 1,1% nel 2025) con il recupero dei salari reali, ma gli investimenti sono in stallo a causa di condizioni di finanziamento più rigide e della riduzione degli incentivi edilizi.
Le esportazioni nette offrono un certo sostegno, ma la produzione industriale è negativa da quasi due anni, segnalando un malessere più profondo.
Post su X riflettono questa situazione, con utenti come Matteo Renzi che evidenziano la crescita stagnante e i costi energetici in aumento a metà febbraio 2025.
L’inflazione si è attenuata dal 5,1% nel 2023 all’1,1% nel 2024, aiutata dal calo dei prezzi dell’energia, e si prevede al 1,9% nel 2025. Tuttavia, l’inflazione core (esclusi energia e alimentari) permane al 3,1%, pesando sulle famiglie.
L’occupazione è un punto positivo—la disoccupazione è scesa al 6,5% nel 2024 dal 7,5% nel 2023, prevista al 6,2% entro il 2026—sostenuta da un mercato del lavoro forte, anche se la crescita dei salari resta modesta.
Dal punto di vista finanziario, le banche italiane reggono bene.
I crediti deteriorati sono diminuiti e i buffer di capitale sono solidi, nonostante le condizioni monetarie più rigide della BCE (tassi stabili al 4% fino a fine 2024).
I rendimenti dei titoli di Stato oscillano tra il 3,5% e il 4%, gestibili con il supporto della BCE come il precedente acquisto di obbligazioni da 200 miliardi di euro nel 2022, anche se rifinanziare 650 miliardi di euro di debito nei prossimi 12 mesi rappresenta una sfida significativa.
La posizione pragmatica del governo Meloni—bilanciando il rispetto delle regole UE con le esigenze interne—aiuta, ma i rischi persistono: una battuta d’arresto nella crescita, un aumento dei rendimenti o ritardi nei fondi UE del Piano di Ripresa e Resilienza da 194 miliardi di euro potrebbero mettere sotto pressione le riserve e riaccendere timori di crisi.
In breve, i deficit in miglioramento e l’inflazione in calo mostrano progressi, ma l’alto debito, la crescita tiepida e le lacune di finanziamento mantengono l’Italia vulnerabile.
Non è una crisi—non ancora—ma il margine di errore è sottile.