De Ficchy Giovanni

Esperto Antropologo

Percy Harrison Fawcett (1867-1925) rivoluzionò il mondo delle esplorazioni e divenne una leggenda con la sua misteriosa scomparsa nel cuore dell’Amazzonia.

Fosset non ha una valenza antropologica in senso stretto, lui era un archeologo, ossia un antropologo che guardava al passato, ha segnato la storia dell’esplorazione e ha ispirato numerose opere d’arte e di cultura popolare.  

La sua scomparsa misteriosa ha contribuito a rendere la sua figura un simbolo dell’ignoto e dell’avventura. 

Scomparve con il figlio e un altro esploratore, mentre cercava le rovine di un’antica civiltà da lui chiamata “Z”. Ma prima di quel tragico destino, vale la pena ripercorrere l’inizio della sua storia.

L’esploratore Percy Fawcett (1867-1925) in una foto del 1920.

Percy Fawcett nacque il 18 agosto 1867 a Torquay, nel Devon (in Inghilterra) da padre indiano e madre inglese. Nel 1886 fu arruolato nella prestigiosa Royal Artillery, prestando servizio a Trincomalee, Ceylon.

Qui si innamorò di Nina Agnes Patersoned, che sposò, ed entrò a far parte della Royal Geographical Society, studiando topografia e cartografia.

Nel giro di qualche anno si ritrovò con un incarico da topografo per i servizi segreti britannici.

Destinazione, il Nord Africa.

Forse il ruolo di spia gli andava stretto, di certo aveva altri progetti in mente.

Comunque sia, tornò sui libri (archeologia, geografia, rilevamento e mappatura) e nel 1906 colse l’opportunità della sua prima grande avventura: mappare la regione di confine tra Bolivia e Brasile per la Royal Geographical Society in America Latina.

Nonostante l’ambiente ostile, portò a termine la sua missione, individuando anche le sorgenti del Rio Verde in Brasile e del fiume Heath, al confine tra Perù e Bolivia.

Armato di taccuino, bussola e machete, si addentrò a piedi nella foresta inesplorata, affrontando un’avventura ricca di aneddoti: nel 1907 abbatté un’anaconda gigante di 19 metri e incontrò animali singolari (tra cui un piccolo canide simile a un gatto o a una volpe), ragni giganteschi, fiumi infestati da piranha, anguille elettriche e pesci che si nutrono del sangue, insinuandosi negli orifizi dei malcapitati.

Insetti, parassiti e larve prolificavano sotto la pelle, causando la putrefazione dei corpi.

Nonostante ciò, non si perse d’animo.

Annotava tutto, scrupolosamente, nel suo taccuino: la forma delle foglie, il colore dei fiori mai visti prima, i versi degli uccelli sconosciuti.

Cercava di capire le abitudini degli animali, di imparare i segreti della foresta.

Una notte, mentre dormiva in una rudimentale capanna che si era costruito, fu svegliato da un rumore strano.

Uscì, armato di machete, e vide due occhi che brillavano nel buio.

Pensò a una giaguaro, ma quando l’animale si avvicinò, si rese conto che era un tapiro, mansueto e curioso.

Gli offrì un pezzo di pane raffermo che aveva nello zaino e l’animale lo mangiò dalla sua mano.

Da quel momento, il tapiro divenne il suo compagno di viaggio, una guida silenziosa e fedele attraverso l’intrico della selva.

Nelle spedizioni successive si rafforzò in lui la convinzione che nel Mato Grosso fosse sepolta un’antica città, che chiamò Z, di cui da secoli si erano perse le tracce.

Bloccato dallo scoppio della Prima guerra mondiale, non poté partire alla volta del suo Eldorado, inseguendo l’ossessione che lo aveva preso

Dopo essersi arruolato volontario e aver combattuto per cinque anni, tornò in viaggio, tormentato dall’idea che qualcuno scoprisse la “sua” città prima di lui.

Le prime due spedizioni fallirono, ma alla fine trovò i fondi per la spedizione del 1925, che lo avrebbe portato a Z.

Il denaro, come sempre, era il problema.

Convincere ricchi mecenati a finanziare la ricerca di una città fantasma, in una regione inesplorata e perigliosa del Brasile, non era impresa da poco.

Parlava con fervore, dipingendo immagini di antiche civiltà, di ricchezze inimmaginabili nascoste sotto la fitta giungla.

Alcuni lo prendevano per pazzo, altri intravedevano la possibilità di gloria.

Alla fine, un consorzio di finanziatori londinesi, attratto forse più dalla promessa di avventura che dalla vera convinzione nella sua teoria, accettò di sostenere la sua impresa.

Si preparò meticolosamente.

Scelse uomini di fiducia, esperti di giungla e di sopravvivenza.

Raccolse provviste, armi, strumenti di navigazione. Studiò mappe antiche, leggende indiane, qualsiasi indizio che potesse rivelare la posizione di Z.

Sapeva che la giungla sarebbe stata spietata, che le malattie e gli animali selvatici sarebbero stati pericoli costanti.

Ma la sua ossessione era più forte di qualsiasi timore.

Era convinto che Z esistesse, che lo aspettasse, nascosta nel cuore verde del continente.

E lui, Percy Fawcett, l’avrebbe trovata.

Non importava che la Royal Geographical Society lo avesse bollato come pazzo, che i suoi compagni si fossero ammutinati, che la giungla stessa sputasse fuori malattie e insidie ad ogni passo.

Percy Fawcett era un uomo votato a un’idea, un’ossessione che gli bruciava dentro come una febbre implacabile.

La giungla amazzonica, per lui, non era solo un groviglio di alberi e insidie, ma un libro antico scritto in un linguaggio che pochi sapevano decifrare.

Un libro che narrava di città perdute, di civiltà grandiose inghiottite dalla vegetazione, di tesori nascosti e di segreti ancestrali.

Z, la città che chiamava con questo nome criptico, era la sua chimera, il miraggio che lo spingeva sempre più avanti, incurante dei pericoli, delle malattie, della fame e della disperazione dei suoi compagni.

Aveva scrutato mappe sbiadite, studiato cronache dimenticate, interrogato indigeni diffidenti, ogni indizio, per quanto flebile, alimentava la sua convinzione: Z esisteva, era reale, e lui, Percy Fawcett, l’avrebbe trovata.

Aveva studiato antichi manoscritti, decifrato simboli dimenticati, ascoltato sussurri di tribù isolate, e ogni indizio, ogni frammento, convergevano verso un unico punto: una città perduta, una civiltà dimenticata, una promessa di rivelazione nel cuore inesplorato dell’Amazzonia.

Z era la sua El Dorado, la sua Atlantide, la sua ossessione finale, e per Z, Percy Fawcett era pronto a sacrificare tutto.

Anche la sua vita.

Si imbarcò con il figlio Jack, di 22 anni, e Raleigh Rimmell, di 21.

In alcune lettere, descrisse dettagliatamente l’itinerario del viaggio iniziato il 20 aprile 1925 da Cuiabà, l’attuale capitale del Mato Grosso. Nonostante le notti fredde e la fastidiosa presenza degli insetti, le condizioni e la stagione erano ottimali.

Fawcett non aveva dubbi sul fatto che avrebbe incontrato gli indios dopo una settimana di viaggio e appariva sicuro di sé. Scriveva alla moglie: “Speriamo di superare presto questa zona… ci siamo accampati qui, al Campo Cavallo Morto a -11° 43′ di latitudine sud e -54° 35′ ovest, esattamente il punto in cui morì il mio cavallo nel 1920 (durante una delle sue spedizioni precedenti, ndr). Ci sono soltanto le sue ossa imbiancate… Non temere, non falliremo…”.

Prima di partire, aveva detto all’altro figlio: “Se non dovessimo tornare, vieterei spedizioni di soccorso, troppo pericolose. Se la mia esperienza non bastasse, nessun altro avrebbe speranza. Perciò non rivelerò la nostra destinazione. Che riusciamo a salvarci o meno, la soluzione dell’enigma dell’antica America del Sud – e forse del mondo preistorico – si troverà solo quando le antiche città saranno ritrovate e aperte alla ricerca scientifica… So per certo che esistono.”

Nel pieno della spedizione, alla fine di maggio, le guide locali non se la sentirono di addentrasi oltre nella foresta, e decisero di tornare indietro. Un saluto, e i tre inglesi proseguirono da soli, verso il loro oscuro destino.

Nei decenni successivi, sono stati più di un centinaio gli appassionati e gli esploratori che sono morti nel tentativo di capire che cosa sia successo. Secondo alcuni Fawcett sarebbe stato ucciso da una tribù di indigeni.

C’è chi lo immaginò persino – dopo aver perso la memoria – a capo di una tribù di cannibali.

La sua figuranon ha un significato antropologico diretto nel senso tradizionale del termine.

 Non ha svolto studi antropologici formali né ha pubblicato ricerche in questo ambito. 

Tuttavia, la sua ricerca della città perduta di Z, una civiltà avanzata nella giungla amazzonica brasiliana, ha un significato antropologico indiretto e influenza il dibattito antropologico sulla storia delle popolazioni amazzoniche e sulla possibile esistenza di civiltà perdute. 

La sua ricerca ha stimolato l’interesse per le antiche popolazioni amazzoniche e ha sollevato questioni sulla loro complessità e sulla loro capacità di sviluppare società avanzate.

L’interesse di Fawcett per la civiltà perduta di Z ha contribuito a far riconoscere la complessità delle società antiche e la loro capacità di sviluppare forme di organizzazione sociale e culturale complessa.

Qualunque sia stata la fine di Fawcett, restano i risultati delle sue imprese.

I suoi sforzi per mappare vaste aree dell’Amazzonia favorirono la definizione dei confini politici.

La storia del viaggio emozionante e pericoloso di un uomo disposto a tutto pur di provare le sue idee, e di ciò che alla fine trovò in fondo ai suoi sogni. 

La sua scomparsa misteriosa ha contribuito a rendere la sua figura un simbolo dell’ignoto e dell’avventura. 

Di Admin

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