
Il concetto di violenza compensativa, applicato a Fidel Castro Ruz, offre una chiave interessante per capire come il leader cubano ha giustificato e usato la violenza durante e dopo la rivoluzione.
Fidel Castro e violenza compensativa: tra redenzione e terrore.
Fidel Castro Ruz non era solo un politico autoritario, ma era anche un ideologo di violenza. Sin dai primi anni della sua azione rivoluzionaria, ha articolato un discorso in cui la violenza non era solo necessaria, ma legittima, persino moralmente superiore, a condizione che servisse una causa “giusta”. Questa idea è ciò che alcuni teorici chiamano “violenza compensativa”.
🔻 Che cos’è la violenza compensativa?
È l’uso della violenza fisica o simbolica come un modo per “compensare” una presunta ingiustizia storica o sociale. Non è una violenza impulsiva o criminale, ma una violenza che viene presentata come riparatore, redentrice o correttiva. In questo contesto, uccidere, imprigionare, censurare o reprimere non sono atti rimproveri, ma “sacrifici necessari” per ripristinare un ordine “più giusto”.
Fidel, l’avvocato della violenza
Nella sua famosa accusa “La storia mi assorbirà” (1953), dopo il fallito assalto alla caserma di Moncada, Fidel ha giustificato l’uso della forza armata in legittima risposta alla tirannia di Batista. Da allora, la sua narrazione è stata costruita sull’idea che la violenza rivoluzionaria fosse l’unico modo moralmente accettabile contro l’oppressione capitalista e imperialista.
Ma quella logica non ha posto fine alla vittoria nel 1959. Al contrario, è stata istituzionalizzata come politica statale. Le esecuzioni di massa sono state chiamate “giustizia rivoluzionaria”. Alla persecuzione politica, “difesa di processo”. Repressione contro omosessuali, religiosi o dissidenti, “purificazione”. E alla censura, “protezione della coscienza rivoluzionaria del popolo”.
Violenza contro chi?
Ciò che è iniziato come una lotta contro Batista si è rapidamente esteso a qualsiasi voce critica, anche all’interno del campo rivoluzionario stesso. Presto, la violenza compensativa non era più contro i “ricchi sfruttatori”, ma contro giornalisti, scrittori, contadini che volevano mantenere la loro terra, i lavoratori religiosi, i sindacalisti autonomi, gli artisti dissidenti, gli studenti a disagio o persino i vecchi compagni di combattimento.
per compensare il dominare
La violenza compensativa si degeneriva nella violenza di controllo e punizione, che era giustificata con lo stesso discorso: “Cuba è sotto assedio”, “The Enemies Stalk”, “La rivoluzione è difesa”. Pertanto, la repressione permanente è diventata un infinito meccanismo di compensazione simbolica, in cui tutti gli abusi sono stati scusati perché presumibilmente garantiva una società futura più equa.
Ma quel futuro non è mai arrivato. La violenza cessò di essere un percorso e divenne un sistema. Non c’è stata redenzione. Non c’era giustizia. Solo paura, silenzio e sottomissione.
Fidel e la sua eredità: l’eterna giustificazione
Fidel Castro è morto senza scusarsi. La sua eredità più pericolosa è quella dottrina morale storta che giustifica ancora la repressione in nome dell’equità. Perché fintanto che crede ancora che ogni crimine sia valido se è commesso dalla “causa giusta”, la violenza continuerà a essere la legge e la giustizia, solo una scusa.