Sembra incredibile, ma è accaduto davvero: in Gran Bretagna non è più lecito neppure mostrare orgoglio per la propria bandiera. Una dodicenne, Courtney Wright, si è presentata a scuola con un vestito che raffigurava la Union Jack durante la cosiddetta “Giornata delle culture”. L’intento era semplice: celebrare la propria identità. Ma quel gesto innocente è bastato a scatenare accuse, insulti e persino l’allontanamento dalla classe.

La motivazione? Quel simbolo, oggi, è visto come “provocatorio”, come se ricordare di essere inglesi fosse un affronto, soprattutto agli occhi delle comunità musulmane sempre più presenti e sempre più coccolate dall’apparato politico e mediatico. La Croce di San Giorgio e la stessa Union Jack, un tempo simboli di orgoglio nazionale, sono ormai bollati come marchi di estrema destra, pericolosi, divisivi.

Il governo di Keir Starmer, che a parole predica patriottismo e unità, nei fatti alimenta un clima di colpevolizzazione per gli autoctoni. Da un lato spalanca le porte a un’immigrazione incontrollata, dall’altro stigmatizza chiunque osi richiamarsi a radici, tradizioni, storia. Tutto è concesso: sfilate etniche, bandiere straniere, simboli religiosi – ma guai a mostrare ciò che ricorda l’identità inglese.

Non si tratta più di un episodio isolato: è il segnale di un processo in atto. L’Inghilterra di Shakespeare e Churchill è costretta a piegarsi, mentre le nuove minoranze diventano maggioranza rumorosa. E così, mentre si moltiplicano le celebrazioni “inclusive”, l’unica identità esclusa e censurata è proprio quella inglese.


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