De Ficchy Giovanni

Se c’è un anno che potremmo definire “terribile” nella storia d’Italia, quel momento epico è senza dubbio il 1992. Ah, 1992!
Un vero e proprio “annus horribilis”, come lo definirebbero gli esperti di marketing politico, mentre i cittadini comuni avrebbero optato per un più colorito “annus maledictus”.
In questo anno da incubo, la Prima Repubblica si sgretolava come un castello di carte, travolta dalle indagini del pool di Mani Pulite.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, due nomi che risuonano ancora oggi come moniti di coraggio e tragedia, venivano brutalmente assassinati, mentre la mafia era così spavalda da decidere di rapire un bambino, il piccolo Farouk Kassam, lasciando l’italiano medio in balia dell’ansia e della preoccupazione.
E se non bastasse, il governo Amato decideva di imporre una finanziaria “lacrime e sangue” per risanare i conti pubblici.

Sì, certo, perché chi non sogna di farsi una bella passeggiata sui cocci di un’economia in frantumi?
Il culmine del disastro?
La svalutazione della lira, ma per svelarne le origini, dobbiamo tornare alle origini, ben due anni e mezzo prima, nel lontano 1990, periodo in cui il governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, sembrava aver avuto l’illuminazione divina.
Con quale brillante idea?
Annunciare che la lira italiana avrebbe oscillato all’interno di una “banda stretta” del 2,25% rispetto al marco tedesco.
Ma, parliamo pure di un pasticcio degno di essere rappresentato in un’opera teatrale.
Nel 1979, dopo il clamoroso fallimento degli accordi di Bretton Woods, l’Europa aveva messo in piedi il Sistema Monetario Europeo (SME) con l’intento di stabilizzare i cambi tra le valute.
E mentre Italia, la poveretta, aveva ricevuto un’oscillazione più ampia entro il 6%, Ciampi decideva di voler camminare a braccetto con le altre nazioni, fissando un limite molto più restrittivo.
Questo perché in Italia l’inflazione stava galoppando come un purosangue, mentre i mercati europei si aggrappavano a una stabilità da sogno.
Certo, come no?!
Ma passiamo al grande spettacolo del 1992.
Le cose cominciavano a prendere una piega diverte: la Bundesbank schizzava i tassi di interesse da un modesto 6% all’8,75% e l’Italia, disperata come un gattino bagnato, seguiva l’esempio, alzando i propri tassi dall’12% al 13% e poi di nuovo al 13,75% nel giro di pochi giorni.
Ma come, non dovevamo essere i sovrani della lira?
Tanto valeva mettere un cartello “In vendita” sulla Banca d’Italia, giusto per informare i passanti.
La drammatica estate del ‘92 ci vedeva in un vortice di incendi finanziari.
Bankitalia come un pompiere in un incendio forestale, bruciava riserve valutarie a vista.
Nel solo mese di luglio, “bruciò” 12 mila miliardi di lire, paragonabili a oltre 25 miliardi di euro attuali.
Ma chi ha mai pensato che gestire la moneta in un contesto europeo fosse facile?
A settembre, sembrava che Palazzo Koch stesse per cadere a pezzi, rimanendo a corto di dollari e marchi, con la bilancia dei pagamenti in crisi nera.
“Le riserve si stavano esaurendo a un ritmo allarmante, e si temeva un imminente default.
Lo spettro della svalutazione incombeva minaccioso, mentre i mercati valutari impazzivano, alimentando una spirale inflazionistica che rischiava di vanificare anni di sacrifici.
I corridoi del potere erano percorsi da un nervosismo palpabile, con riunioni segrete e conciliaboli notturni alla ricerca di una soluzione disperata.
Si vociferava di misure drastiche, di tagli alla spesa pubblica e di aumenti delle tasse, misure che avrebbero inevitabilmente colpito i cittadini, già provati da anni di austerity.
La situazione era talmente grave che alcuni temevano addirittura una crisi politica, con il governo sull’orlo del collasso e il rischio di nuove elezioni anticipate.
L’incertezza regnava sovrana, e il futuro del Paese sembrava appeso a un filo.”
Così, la decisione fatidica di svalutare la lira fu presa.
E indovinate un po’?

Il cambio contro il dollaro schizzò dal 1.078 a 1.583 lire in pochi mesi.
Saffo, chi l’avrebbe mai detto che sarebbe stato un bel momento per investire in lira?
E lì partì la speculazione selvaggia, una danza macabra di squali pronti a banchettare con le nostre debolezze.
I mercati, avvoltoi famelici, fiutarono l’affare e si gettarono sulla preda.
Ricordo ancora i titoli dei giornali, le facce scure dei ministri, l’aria pesante che si respirava.
Sembrava la fine del mondo, un tracollo inevitabile.
Ma noi italiani, si sa, siamo fatti così: capaci di rialzarci anche dalle macerie.
E infatti, piano piano, con fatica e sudore, iniziammo a ricostruire.
Certo, le ferite rimasero, i sacrifici furono tanti.
Ma quella crisi, in fondo, ci insegnò qualcosa: che la stabilità finanziaria è un bene prezioso, da custodire con cura.
E che fidarsi troppo dei mercati, a volte, può essere un errore fatale.
Saffo, ripensandoci, forse investire in lira in quel periodo sarebbe stato un azzardo troppo grande anche per il più temerario degli speculatori.
O forse no?
Chi può dirlo…
La storia, si sa, è piena di sorprese.
Ma il nostro amico George Soros, il finanziere che tutti amano odiare, decise di scommettere contro la lira.
Con il suo fondo,
Quantum, si guadagnò miliardi di dollari nel giro di pochi giorni.
Cospirazione?
Ben poco.
Più semplicemente, il sistema italiano si trovava a un punto critico, con un debito pubblico e un deficit alle stelle.
Oh, e la situazione economica italiana era migliore di un film horror.
Quella stagione di fuga dei capitali non era altro che un palco su cui i protagonisti danzavano: quasi 26 mila miliardi di lire abbandonarono il paese solo per tornare quando la lira toccò il fondo, guadagnando un bel 30%. Certo, i teorici complottisti parlerebbero di manovre oscure e piani diabolici orditi dai soliti noti.
Ma la verità è che l’errore di Ciampi fu quello di difendere la lira per mesi, come se avesse creduto che i mercati avrebbero fatto retromarcia.
Oh, dolce illusione!
E invece no, i mercati non fanno retromarcia, mai.
Sono come squali affamati, sentono l’odore del sangue (in questo caso, la debolezza di una valuta) e attaccano senza pietà.
Ciampi, uomo d’altri tempi, con la sua inflessibile rettitudine, non capì che la finanza è un gioco spietato, dove la speculazione è all’ordine del giorno.
Difendere la lira a oltranza fu un errore madornale, un’ostinazione che costò cara al paese.
E mentre lui si batteva come un leone, i soliti “amici” facevano man bassa, pronti a scommettere contro l’Italia e a incassare laute plusvalenze.
Ma d’altronde, si sa, la storia è piena di eroi che si sono battuti per una causa persa, e di furbi che hanno saputo approfittare della situazione.
E in questa tragicommedia italiana, i furbi, ahinoi, non mancano mai.
La storia di quel 1992 insegna che la speculazione non fu solo una questione di scelte finanziarie, ma piuttosto il risultato di una serie di eventi concatenati che avrebbero portato alla svalutazione della lira.
Scommettere contro di essa non era poi così difficile; l’incertezza economica, l’instabilità politica e l’inefficienza delle politiche fiscali giocavano tutte a favore dei “cattivi” della storia economica.
Ah, ci piacerebbe poter dire che quel “divorzio” tra la Banca d’Italia e il Tesoro nel 1981 fosse stata una mossa geniale, ma a quanto pare si rivelò essere un altro tassello di un puzzle maledetto.
La realtà è che il mix esplosivo di debito pubblico, deficit, inflazione e instabilità politica faceva da contorno a una situazione insostenibile.
1992 non è stato solo un anno, è stato un capitolo di un racconto tragico, un’epopea dell’assurdo che rimarrà impressa nel cuore e nella memoria collettiva degli italiani.
Concludendo, se ci fossero stati più segni premonitori e meno egoismi politici, forse l’Italia avrebbe potuto evitare la caduta nel baratro.
Ma, ahimè, la nostra storia sembra essere scritta da un drammaturgo con un senso dell’umorismo particolarmente cinico.
E ora, che ci resta da fare, se non ridere amaramente e guardare avanti, sperando che il futuro riservi qualcosa di meglio?
Perché alla fine, con tutto il rispetto per i tiranni del tasso di cambio, l’Italia è una nazione capace di rialzarsi, anche quando sembra che tutto sia perduto.