De Ficchy Giovanni

Se Gregor Samsa si svegliò un giorno trasformato in un immondo insetto, per Giuseppe Conte il viaggio della metamorfosi ha assunto toni ben più audaci: il suo nuovo look “rossobruno” è l’emblema di una metamorfosi politica che sfida ogni logica e raziocinio.

Da avvocato sconosciuto a premier di un governo che si regge su equilibri più fragili di un castello di carte, Conte ha abbagliato il palcoscenico politico con una performance da maestro delle illusioni.

L’avvocato venuto dal nulla – o forse dal nulla che molti di noi avrebbero preferito non vivere – ha conquistato spazio sul palcoscenico della destra, trovando un modo bizzarro per scavalcare Matteo Salvini, il suo alter ego di destra che, fino a poco tempo fa, sembrava indistruttibile.

Immaginateun Conte pronto a fondere la sua aura di sobrietà (se mai ne avesse avuta una) con quell’ideologismo ardente dei radicali super-comunisti legati a Marco Rizzo e all’antieuropeismo dei centri sociali.

È come se avesse deciso di fondere la crème brûlée con il piatto di pasta più scotta del mondo: ci si chiede sempre come sia potuto succedere, ma alla fine si accetta l’audacia della combinazione.

Questo fenomeno non è isolato, ma si inserisce in una tendenza generale in Europa, dove Sahra Wagenknecht, l’enfant prodige dell’ultrasinistra tedesca, si erge a simbolo di un radicalismo che trova poco spazio nella realtà parlamentare.

Dopo che il suo partito ha fatto flop alle recenti elezioni tedesche, non possiamo fare a meno di chiederci: può esistere un rossobrunismo senza un contraltare di sinistra efficace?

O è solo un’altra manifestazione di un disorientamento collettivo in cui i politici cercano di danzare su un filo sottile tra il perfido populismo e le illusioni ideologiche?

E così, il nemico comune del rossobrunismo emerge: il liberalismo in ogni sua forma.

Non sorprende che l’Europa, culla di questa dottrina, venga vista da Conte come l’incarnazione di tutto ciò che deve essere demolito.

La democrazia liberale non è solo un concetto astratto, ma un obiettivo concreto da abbattere, un campo di battaglia in cui Conte, al pari di Salvini, non appare affatto ostile all’offensiva a tenaglia orchestrata da Trump e Putin.

Anzi, è quasi divertente osservare come queste alleanze improbabili possano facilmente sovvertire i tradizionali schieramenti politici.

Ma chi è veramente Conte, se non un camaleonte politico che sa adattarsi alle circostanze?

Con abilità degna di un prestigiatore, è riuscito a trasformare il Movimento 5 Stelle in un partito personale.

È un laboratorio di alambicchi antiliberali, ben organizzato attorno al Fatto Quotidiano, che funge da centrale operativa del contismo, dove ogni notizia viene scremata e rielaborata secondo necessità.

Insomma, Conte ha imparato a giocare con le emozioni e le paure degli italiani, promettendo un ritorno a Palazzo Chigi, come se fosse un cavaliere in armatura scintillante pronto a salvare il regno.

Ma cosa vi aspettate da un uomo che ha fatto della sua ambizione personale un poema epico?

Questo desiderio di tornare al potere non è mosso da un autentico interesse per il bene pubblico, ma da un ego che potrebbe tranquillamente occupare un intero stadio.

La sua rete informativa, tuttavia, si dimostra tanto fragile quanto inquietante: uno strumento di controllo che sorveglia e manipola, assemblando una narrativa favorevole alla sua causa, ma che, ironicamente, riflette la peggiore delle ansie politiche.

E mentre il primo piano di Conte si delineava tra schermaglie e proclami, il panorama politico italiano oscillava tra il comico e il tragico.

Qui abbiamo un uomo che sbatte in faccia agli italiani la sua visione del mondo, pronto a sfidare chiunque osi opporsi alla sua frenesia di potere.

Intanto, l’Italia, scossa da crisi economiche e sociali, diventa lo sfondo perfetto per la sua recita.

Ma non finisce qui: dietro le quinte, la sua metamorfosi continua.

Ogni dichiarazione, ogni mossa strategica sembra mirata a raccogliere consensi, mentre il suo pallido passato di avvocato viene lentamente ridisegnato come un merito.

Un uomo che prima era visto come tecnocrate serafico ora si presenta come il paladino della giusta causa, cavalcando le onde dell’opinione pubblica con la maestria di un surfista esperto.

Entrando nel merito del discorso antiliberale, ci si rende conto di quanto sia paradossale.

Conte, nel tentativo di vestire i panni del liberatore, si fa portavoce di un discorso che ha il sapore di un déjà vu, richiamando temi cari alla tradizione – purtroppo – fallimentare della sinistra.

Magari crede davvero di poter “prendere” elementi dall’ideologia comunista per amalgamarli con il suo spirito anti-sistema.

Ma la verità è che la sua è una ricetta destinata a bruciare: e se pensiamo ai vari tentativi di incanalare l’indignazione popolare in forme di protesta productive, la conclusione è chiara: l’ennesimo tentativo di riscrivere il copione, ma senza conoscere la trama.

E mentre il labirinto del potere si complica sempre di più, gli italiani si trovano nuovamente a dover decidere tra il rossobrunismo di Conte e l’arroganza della destra, con pochi veri punti di riferimento.

L’ossessione di Conte per Palazzo Chigi è palpabile, ma si tratta di un desiderio che lascia trasparire anche un’inquietante solitudine.

La figura dell’uomo forte nasconde la debolezza di chi non sa più a chi affidarsi.

In questo gioco di specchi, dove nessuno è quello che sembra, ci troviamo di fronte a un paradosso: l’uomo che si erge come principale antagonista del liberalismo, rimanendo nell’ombra di chi lo ha preceduto, prova a danzare nei limiti di un sistema democratico che non solo sta provando a difendersi, ma che potrebbe, a lungo andare, rispondere a tono.

E così, con uno sguardo critico e sarcastico, assistiamo all’ennesima metamorfosi di Conte, l’uomo che ha dimostrato che in politica si può sempre trovare un modo per continuare a ballare, anche quando il terreno sotto i piedi è instabile.

Forse non tutti capiranno immediatamente il significato profondo di questa transizione, ma con ogni passo falso e ogni mossa calcolata, ci ricorda che la danza del potere è un gioco crudele e inafferrabile.

Ma, d’altra parte, chi meglio di lui potrebbe interpretarla?

Di Admin

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