Quando Winston Churchill, nel dopoguerra, immaginava un’“Europa delle regioni”, la sua prospettiva si distaccava dal classico paradigma statuale. Non più soltanto un continente di nazioni, ma un mosaico di territori con identità storiche, culturali ed economiche specifiche, capaci di dialogare e cooperare oltre i confini nazionali. Nel 2025, questa intuizione appare di nuovo sorprendentemente attuale.

Tracce nei carteggi con Mussolini

L’idea di un’Europa articolata non esclusivamente sugli Stati ma anche sulle regioni si intravede, seppure in modo indiretto, nei controversi carteggi e nei contatti diplomatici tra Churchill e Mussolini negli anni Trenta e Quaranta. Al di là delle incertezze documentarie – poiché la storiografia discute ancora sull’autenticità e sulla sorte di molte lettere – è significativo che in quelle interlocuzioni emerga l’idea di un ordine europeo che non si fondi soltanto su equilibri nazionali, ma anche su aree culturali ed economiche più ampie.

Mussolini concepiva tali aree in funzione di un progetto imperiale; Churchill, invece, lasciava intravedere la possibilità che queste dinamiche territoriali potessero avere un ruolo positivo nella costruzione di una pace duratura. Sebbene non sviluppata in modo sistematico, questa intuizione anticipa la visione postbellica dell’“Europa delle regioni”.

L’Europa delle nazioni: l’eredità di De Gaulle

Charles de Gaulle, in contrapposizione, vedeva l’Europa come un concerto di Stati sovrani, gelosi delle proprie prerogative. Questa “Europa delle nazioni” ha dominato per decenni l’integrazione comunitaria, mantenendo l’Unione come un compromesso permanente tra governi nazionali. Ha garantito la fine dei conflitti interni – in larga misura grazie alla protezione atlantica garantita dagli Stati Uniti – ma non ha generato una vera coesione politica. Oggi l’Unione si trova spesso paralizzata da veti incrociati e da divergenze nazionali, mentre le sfide globali chiedono risposte rapide e coordinate.

Il ritorno delle regioni

Il XXI secolo ha riportato al centro le regioni come soggetti politici ed economici. Dalla Baviera alla Catalogna, dalla Lombardia alla Bretagna, fino alle Fiandre o alla Transilvania, i territori hanno riscoperto la propria forza: poli industriali, piattaforme logistiche, distretti tecnologici, filiere agricole specializzate. Le regioni sono diventate interlocutori diretti di Bruxelles, spesso più dinamici e pragmatici dei governi centrali.

La crescente interdipendenza economica non avviene solo tra Stati, ma tra aree produttive che condividono catene del valore transnazionali: il corridoio Reno-Alpi, il triangolo produttivo Milano–Torino–Genova, la cooperazione tra porti del Nord Europa. In questo senso, la visione di Churchill anticipava un’Europa integrata dal basso, attraverso i legami reali delle economie territoriali.

L’attualità del progetto

Nel 2025, di fronte a crisi energetiche, transizione ecologica, digitalizzazione e instabilità geopolitica, l’Europa delle regioni mostra tutta la sua attualità. I fondi europei (dal PNRR alle politiche di coesione) vengono gestiti in larga parte dalle amministrazioni locali, che sviluppano reti di collaborazione interregionale oltre i confini nazionali. Le macroregioni europee – Baltico, Adriatico-Ionio, Danubio, Mediterraneo occidentale – rappresentano concretamente questa visione: aree funzionali in cui trasporti, energia, turismo e innovazione creano un tessuto comune.

Limiti e prospettive

L’Europa delle regioni non elimina i conflitti: in alcuni casi rafforza spinte separatiste e tensioni con i governi centrali. Tuttavia, offre una prospettiva di coesione alternativa all’impasse intergovernativo. In un mondo globale in cui le città e le aree metropolitane competono tra loro, l’Europa regionale potrebbe garantire al continente maggiore resilienza e capacità di innovazione.


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