
Ripetiamolo insieme: L’accordo di pace non l’hanno portato né i cortei violenti né le operazioni ideologiche, ma il lavoro silenzioso delle diplomazie internazionali.
Sta lì la differenza tra chi predica la pace e chi la fa.
Ah, la pace!
Quella nobile aspirazione che tutti sbandieriamo come se fosse una bandiera da portare in parata, mentre la realtà ci mostra un altro spettacolo.
Certo, chi potrebbe mai pensare che l’armonia globale possa essere raggiunta con la semplice inflessione della voce durante un corteo, urlando slogan accattivanti ma vuoti?
No, no, amici miei!

La verità è che i veri architetti della pace sono quei misteriosi individui che lavorano dietro le quinte, attenti e discreti, con le loro giacche grigie e le occhiali in stile professore.
Loro, con il loro linguaggio forbito e i loro rapporti diplomatici, sono coloro che realmente portano a casa il risultato.
Immaginate la scena: un gruppo di manifestanti, armati di tamburi e megafoni, si riversa nelle strade con striscioni che affermano “La pace è possibile!”
Mentre nel frattempo, a qualche centinaio di chilometri di distanza, un diplomatico sta alla sua scrivania, scrutando documenti fitti e cercando di capire se quella proposta di accordo avrà un impatto positivo sul commercio delle patate di importazione.

Perché, sapete, la pace è bella, ma non possiamo dimenticare l’aspetto pratico di tutto ciò, giusto?
Le manifestazioni pacifiche sono senz’altro meritorie, ma quando si tratta di stabilire un vero accordo di pace, la vera magia avviene in quelle stanze chiuse dove nessuno può udire gli sforzi silenziosi di chi opera.
Chi ha bisogno di una folla in delirio che scende in piazza, quando hai a disposizione un tavolo rotondo e un buon caffè?
I diplomatici, con il loro bagaglio di competenze e la loro pazienza infinita, sono i veri eroi che navigano attraverso le acque torbide della politicizzazione, cercando di evitare la tempesta che potrebbe sfociare in un conflitto.
E poi, naturalmente, ci sono le ideologie!
Che splendida struttura retorica per attirare masse di persone disposte a seguire un ideale piuttosto che un fatto concreto.
Le ideologie possono infiammare gli animi, ma vanno a sbattere contro la dura realtà del negoziato. Mentre uno spera che la propria causa possa trascendere l’umanità, l’altro è occupato a calcolare quanto tempo ci vorrà per arrivare a un compromesso.
Ah, l’ironia di tutto ciò: mentre uno urla che la pace è fondamentale, l’altro cerca di capire come convincere l’interlocutore a rinunciare a una parte della propria sovranità per ottenere…
beh, la pace!
E che dire di coloro che preferiscono scrivere lettere aperte e utilizzare i social media per esprimere la loro opinione su come dovrebbe essere gestita la pace?
Certamente, ciò è utile — quanto è bello vedere un bel post su Instagram con l’hashtag #PaceNelMondo!
Ma, ahimè, non vedrete mai il diplomatico x al tavolo delle trattative, con il suo smartphone in mano, postare la sua opinione sulla questione.
No, lui sta cercando di risolvere situazioni reali, lontano dai riflettori.
I veri eventi chiave nella storia della pace non sono mai stati scritti nei registri dei social media, ma piuttosto nei documenti ufficiali, scambiati e stilati a quattro mani, con una gran dose di pragmatismo.
E mentre i puristi della pace possono sbuffare, certi che il mondo debba ascoltare il richiamo dell’umanità, la cruda verità rimane: devono anche imparare che è impossibile prendere una decisione ragionevole in un clima di caos.
E così, ripetiamolo: l’accordo di pace non è certo frutto di cortei e proclami, ma del lavoro di diplomazie internazionali che, lentamente e silenziosamente, costruiscono ponti dove prima c’erano muri.
Gli sforzi silenziosi di quelli che “fanno” piuttosto che “parlare” sono ciò che veramente conta.
Chissà, forse un giorno ci renderemo conto che non basta solo l’idealismo, ma che serve anche un po’ di pragmatismo per realizzare quel sogno di pace tanto agognato.
Dunque, cari lettori e attivisti di ogni sorta, quando vi trovate a protestare per la pace, ricordatevi: il vostro entusiasmo e la vostra passione sono come fiori appassiti in un deserto arido.
La vera pacificazione avviene da un confronto serio, quel confronto che richiede ore di discussioni, compromessi e, soprattutto, quella qualità tanto rara conosciuta come “ascolto”.
Senza quella, possiamo continuare a marciare, a battere tamburi e a scrivere tweet accattivanti, ma il cambio di passo rimarrà un miraggio, un’utopia irraggiungibile.
In conclusione, la differenza tra chi predica la pace e chi la fa è evidente, a patto che si voglia davvero guardare oltre il proprio naso.
La prossima volta che vi sentirete spinti a partecipare a un corteo, provate a considerare l’opzione di mandare una lettera — certo, non avrà lo stesso effetto scenico, ma chissà, potrebbe funzionare.
La pace non è solo uno stato d’animo, è un processo e, se vogliamo, un grande lavoro di squadra. Lasciate quindi i tamburi a casa per un momento e abbracciate l’arte della diplomazia.
Potreste rimanere sorpresi da ciò che è possibile ottenere quando si smette di urlare e si inizia a dialogare.