
Nelle pieghe tumultuose della storia americana, dove mito e verità si intrecciano, il presidente Trump ha deciso di dare nuovo impulso a una celebrazione controversa: il Columbus Day.
Nel mese di ottobre, egli ha firmato un proclama che riporta alla ribalta la figura dell’esploratore genovese Cristoforo Colombo, dichiarando lunedì come giorno dedicato all’eroica eredità di “fede, coraggio, perseveranza e virtù” che, secondo lui, caratterizza la sua impresa nel Nuovo Mondo.
Questa proclamazione non è soltanto un atto di commemorazione, ma un vero e proprio tentativo di riabilitazione di un simbolo che, negli ultimi decenni, ha visto le proprie fondamenta minate da critiche sempre più diffuse.
Segna la fine di un’era e l’inizio di una nuova: l’orgoglio per la civiltà occidentale sostituisce il disprezzo.
Il gesto di Trump, oltre che politico, è culturale: riabilita Colombo e l’idea di un’America fiera dei suoi fondatori, che guarda alle proprie radici europee in città come Roma, Genova e Firenze.
Donald Trump definisce Colombo un titano dell’Era delle Esplorazioni, un eroe americano, un gigante della civiltà occidentale e un uomo coraggioso e visionario
. Questa dichiarazione segna una netta opposizione al movimento che da anni vandalizza le statue del navigatore genovese, chiedendone la rimozione fisica e culturale.
Trump sottolinea l’importanza del viaggio con le tre caravelle, che portò saggezza, filosofia, ragione e cultura nelle Americhe, aprendo la strada al trionfo della civiltà occidentale il 4 luglio 1776.
Infine, ribadisce il legame speciale tra Stati Uniti e Italia.

Nel panorama attuale, in cui molti scelgono di festeggiare l’Indigenous Peoples Day, il Columbus Day appare come un fantasma che aleggia sopra le conflittuali memorie collettive del continente americano. In effetti, ciò che per alcuni rappresenta un’epopea di scoperte e conquiste, per altri è l’inizio di una tragedia inenarrabile: l’arrivo di Colombo ha portato con sé conseguenze devastanti per le popolazioni indigene.
Complessivamente, secondo i pareri di studiosi come Kerri Malloy, professore di studi sui nativi americani e indigeni alla San José State University, l’approdo del navigatore italiano segnò l’innesco di un genocidio di massa.
Le conseguenze dell’era coloniale, che furono accompagnate dall’espansione di malattie letali, dalla sottrazione delle terre e dalla conversione forzata al cristianesimo, hanno lasciato cicatrici profonde e durature nella coscienza dei popoli indigeni.
Ma perché rivendicare una celebrazione così controversa?

L’atto di Trump si inscrive all’interno di un contesto politico e culturale più ampio, dove il dibattito attorno all’identità nazionale e alla sua costruzione è tornato prepotentemente al centro del discorso pubblico. Con un post sui social media ad aprile, il presidente proclamò il suo desiderio di far risorgere il Columbus Day “dalle ceneri”.
Un annuncio che evoca più che mai immagini di rinascita e resurrezione, quasi come se ricomporre la figura di Colombo potesse ricostruire un’unità perduta tra i vari strati e le varie storie che compongono il grande arazzo della nazione americana.
In questo contesto di rivendicazione culturale, si pone una domanda cruciale: quale eredità vogliamo onorare?
È il coraggio di un esploratore che ha sfidato l’ignoto, o è il dolore e la sofferenza delle popolazioni che hanno visto infrangersi il loro mondo?
La risposta a questa domanda è complessa e multifaccettata, poiché ogni individuo porta con sé le proprie esperienze e le proprie emozioni legate alla storia.
Le celebrazioni alternative dell’Indigenous Peoples Day nascono proprio da questa esigenza di riconoscimento e di giustizia.
Rappresentano un atto di resistenza e di riparazione, un modo per affermare l’importanza delle voci dimenticate che raccontano storie di resilienza, cultura e lotta.
La crescente popolarità di questa festività è un segno chiaro di come i tempi stiano cambiando e di quanto le società siano pronte ad affrontare le loro verità storiche, anche quando queste verità sono scomode.
Eppure, la resurrezione mediatica e culturale del Columbus Day trova ancora un vasto seguito, specialmente tra coloro che vedono in essa un’opportunità di riaffermazione dell’identità patriottica e della grandezza dell’America.
È un fenomeno che mette in luce la fragilità delle costruzioni identitarie e il potere delle narrazioni
Ogni storia, difatti, viene interpretata attraverso il filtro di chi la racconta, e ciò che per alcuni è un eroe, per altri può apparire come un oppressore.
Il dibattito attorno a Colombo e al suo lascito rimane acceso e polarizzato, riflettendo le tensioni che caratterizzano la società americana contemporanea.
Da un lato, c’è il desiderio di alcuni di celebrare una figura simbolica che incarna l’eroismo e l’avventura, dall’altro lato si erge la necessità di riconoscere e dare voce a chi è stato storicamente silenziato e marginalizzato.
In questo crocevia di storie, noi, come società, ci troviamo di fronte a una scelta: continuare a perpetuare narrazioni che, sebbene storicamente influenti, ignorano le ferite del passato, oppure abbracciare una visione più complessa e inclusiva che possa abbracciare le diverse verità e i sensi di appartenenza di un popolo tanto variegato
.La bilancia oscilla tra la comodità di un racconto unico e la sfida di tessere una tela più ricca, dove ogni filo, ogni colore, contribuisce a un mosaico più veritiero.
Non è un compito facile, questo: richiede coraggio, apertura mentale e la volontà di confrontarsi con ombre che preferiremmo dimenticare.
Ma è un compito necessario, se vogliamo costruire un futuro in cui tutti si sentano rappresentati, in cui la memoria collettiva non sia un monumento alla parzialità, ma un faro che illumina la strada verso una maggiore comprensione e giustizia.
Scegliere di ignorare le voci silenziate, le esperienze negate, significa condannarci a ripetere gli errori del passato, a perpetuare un’ingiustizia che corrode il tessuto sociale.
Invece, abbracciare la complessità, accettare la sfida di una narrazione plurale, significa investire in un futuro di armonia e rispetto reciproco, dove le cicatrici del passato diventano le fondamenta di una società più forte e inclusiva.
Significa trasformare il dolore in resilienza, la diversità in ricchezza, e l’ignoranza in conoscenza.
Significa riconoscere che ogni storia ha valore, che ogni voce merita di essere ascoltata, che ogni esperienza, anche la più dolorosa, può contribuire a costruire un mosaico di umanità più completo e autentico.
Abbracciare la complessità significa anche essere disposti a mettere in discussione le nostre certezze, a confrontarci con le nostre paure, a superare i nostri pregiudizi.
Significa avere il coraggio di ammettere che non abbiamo tutte le risposte, che abbiamo bisogno degli altri per capire meglio noi stessi e il mondo che ci circonda.
Solo così possiamo sperare di costruire un futuro in cui la giustizia, l’equità e la solidarietà non siano solo parole vuote, ma principi guida che orientano le nostre azioni e le nostre scelte.
In conclusione, mentre il presidente Trump cerca di riportare in auge il Columbus Day, la fiamma di una nuova consapevolezza culturale continua a ardere nel cuore della nazione.
Le celebrazioni del passato saranno sempre parte della grande narrativa, ma è tempo di aprire nuove porte verso un futuro in cui ogni storia trovi il suo spazio e ogni voce venga ascoltata.
Solo allora potremo dirci veramente uniti, nonostante le differenze, in un viaggio collettivo che onori sia il passato che il presente.