
CORTIGIANA, STR…ZA, BASTARDA: IL LINCIAGGIO SESSISTA CHE LA SINISTRA FINGE DI NON VEDERE
Ah, che meraviglia l’ipocrisia della politica!
Immaginate un attimo: se una leader di sinistra avesse subito insulti così pesanti, saremmo stati travolti da uno tsunami di indignazione.
Giù a protestare, interviste, post sui social media, cortei in ogni angolo d’Italia.
Ma Giorgia Meloni?
No, grazie, il silenzio è d’oro, soprattutto quando il soggetto è una donna di destra che osa sedere sullo scranno più alto di Palazzo Chigi.
Maurizio Landini, segretario della CGIL, ha paragonato Meloni a una “cortigiana”.
Ora, sia chiaro, nel linguaggio volgare è chiaro cosa significhi quel termine: prostituta.
Ma chiaro, perché mai dovremmo farci carico dei significati?
Magari rifugiamoci dietro i richiami storici alle dame di corte – chissà, magari fa più chic.
La risposta di Meloni è stata giustamente indignata, certo, ma che dire della reazione della sinistra?
Un silenzio assordante che rimbomba come un tamburo in un deserto.
E qui entra in gioco un elemento che rende questo silenzio ancora più imbarazzante: stiamo parlando della prima donna Presidente del Consiglio della storia d’Italia.
Sì, avete letto bene.
La PRIMA.
E mentre si destreggia tra successi internazionali – dalla gestione dei migranti ai rapporti con l’Europa, senza dimenticare le visite di gala con Biden e Trump – la sinistra è in preda a una rabbia irrefrenabile. Non doveva essere lei.
Oh no, la prima donna premier doveva avere il ‘pedigree’ giusto, essere una progressista con alle spalle un curriculum che brillasse di correttezza politica, non una “borgatara” di destra.
Ecco il vero scandalo per la sinistra: Meloni ha infranto il loro monopolio su femminismo e diritti delle donne.
Ha dimostrato che una donna può raggiungere il vertice senza chiedere permesso a nessuno, tantomeno alle vestali del politicamente corretto.
E questo… non glielo perdonano.
Un altro colpo al cuore del femminismo militante è arrivato con la lunga lista di insulti sessisti rivolti alla premier.
Quando Vincenzo De Luca, presidente della Campania, l’ha apostrofata come “stronza” davanti a Montecitorio, le femministe erano evidentemente in pausa caffè, perché che importa, giusto?
E che dire di Roberto Saviano che, in prima serata su La7, ha avuto il coraggio di chiamarla “bastarda”? Niente, nemmeno un battito di ciglia dalle paladine dei diritti femminili.

La cosa più ridicola è stata l’uscita del professor Giovanni Gozzini, che in diretta radiofonica ha definito Meloni “vacca”, “scrofa”, “zoccola” e “peracottara”.
Ma dai, è solo un professore, non una rappresentante del popolo, giusto?
Ce lo siamo chiesti: dove sono tutte quelle combattenti per i diritti delle donne quando un attacco del genere si consuma in diretta online?
Certo, devono esserci stati problemi di connessione, immagino.
Passiamo agli insulti classisti: “carciofara”, “pescivendola”, “borgatara”.
Insulti rivolti proprio da quella sinistra che si proclama difensore del popolo.
Ironico, vero?
E non parliamo poi di quei pupazzi appesi a testa in giù durante le manifestazioni, un richiamo teatrale che sa di minaccia di morte simbolica.
Se fosse accaduto all’epoca di un leader di sinistra, avremmo assistito a interrogazioni parlamentari e prime pagine, a settimane di discussioni.
Ma per Meloni?
Silenzio tombale.
Dov’è Laura Boldrini, la paladina contro il sessismo?
Dov’è la segretaria del PD Elly Schlein, diffusamente impegnata nella lotta per la parità di genere?
Dove sono le associazioni femministe pronte a scendere in piazza per ogni minima ingiustizia? Apparentemente tutte occupate a rosicare in silenzio, poiché la prima donna al governo non è esattamente la loro beniamina.
E il caso di Stefano Addeo, che ha augurato alla figlia di Meloni di “fare la stessa fine” di una vittima di femminicidio?
Oppure quell’immigrato camerunese che ha lanciato minacce velate di stupro alla figlia della premier?
Di fronte a minacce così gravi, il femminismo militante ha scelto di tacere.
Perché la colpa dell’innocente bambina è di essere nata da “una premier sbagliata”.
Ed ecco che l’adagio popolare diventa ironico: “chi tace acconsente”.
Il silenzio della sinistra di fronte a insulti e minacce non è mera neutralità; è complicità.
Un messaggio chiaro: “Meloni se lo merita”.
È l’approvazione tacita di un clima di odio che loro stessi hanno contribuito a generare, disumanizzando l’avversario politico.
Un odio accresciuto dalla frustrazione di vedere una donna di destra scrivere la storia, mentre loro continuano a parlare di quote rosa.
Il femminismo à la carte di questa sinistra, che difende solo le donne del proprio schieramento, non è femminismo.
È opportunismo politico della peggior specie.
È la dimostrazione che i diritti delle donne per loro sono un’arma selettiva, usata contro gli avversari politici secondo la convenienza del momento.
Landini ha fatto involontariamente un regalo a Meloni: ha smascherato l’ipocrisia della sinistra, che predica il rispetto per le donne solo quando fa comodo.
La credibilità del femminismo politico italiano è andata in frantumi.
E quando domani torneranno a pontificare sul sessismo, chi potrà prenderli sul serio?
La sinistra ha tradito il femminismo, trasformandolo in una clava partigiana.
In questo modo, ha tradito anche tutte le donne, comprese quelle che votano a sinistra e meriterebbero rappresentanti capaci di sostenere i principi sempre, non solo quando conviene.
Il danno alla causa dei diritti delle donne è inestimabile.
E la responsabilità è di quelli che hanno scelto il silenzio complice di fronte alla violenza verbale e alle minacce, mascherando l’invidia politica sotto un’apparente superiorità morale.
E così, nel grande teatro della politica italiana, la commedia continua, e il sipario non accenna ad alzarsi.