Nel mondo politico contemporaneo, dove le parole sono armi potenti e il “cancel culture” minaccia di cancellare con un clic qualsiasi carriera, troviamo figure come Zohran Mamdani, il sindaco di New York, il cui comportamento fa pensare a una sorta di circo dell’assurdo.

La sua avventura politica sembra essere una festa del politically correct, ma con qualche scivolone che meriterebbe una standing ovation per la comicità involontaria.

Iniziamo da maggio 2025, quando Mamdani, in piena campagna elettorale, promette solennemente di difendere i diritti delle persone Lgbt.

“Finalmente un sindaco che si schiera!”.

Sembrava una vera e propria dichiarazione d’amore, un inno ai colori dell’arcobaleno.

Ma nonostante questa promessa, il sipario della sua tournée arcobaleno sembra abbassarsi piuttosto rapidamente.

Solo un mese dopo, ecco il clamoroso post su Instagram; il sindaco è al Gay Pride di New York, sventolando la bandiera dei trans, simbolo di inclusione e accettazione.

Che bel colpo!

Finalmente Mamdani si era messo il vestito giusto per l’occasione.

Tuttavia, il grande show di Mamdani presenta un difetto di fabbrica che è impossibile ignorare.

Pochi mesi dopo, il 5 ottobre, lo vediamo immortalato in una foto con Rebecca Kadaga, un funzionario ugandese noto per le sue posizioni estreme contro gli omosessuali.

E chi se lo sarebbe immaginato?

L’uomo che afferma di voler proteggere la comunità Lgbt mentre stringe la mano a chi sostiene pene severe per gli omosessuali!

Qui c’è qualcosa di profondamente nostalgico, quasi come un ritorno agli anni ’90, quando le contraddizioni politiche erano all’ordine del giorno, solo che ora abbiamo i social media a rendere tutto molto più imbarazzante.

Se potessimo dare un titolo a questa commedia degli errori, sarebbe: “Mamdani e il lavaggio del cervello in salsa arcobaleno”.

Ciò che rende ancora più ironico il suo operato è il tentativo di coniugare l’Islam, il supporto alla causa palestinese e le politiche pro-Lgbt.

È come se stesse cercando di concatenare il bene e il male in un unico pacchetto.

“New York City deve essere un rifugio per le persone Lgbt,” scrive Mamdani, mentre si ritrova a farsi fotografare con chi vorrebbe rinchiudere i gay in gattabuia.

Qualcuno potrebbe suggerirgli di assumere un consulente PR che lo aiuti a non perdere la bussola a ogni nuovo incontro.

In un contesto in cui i valori sembrano sovrapporsi come strati di un cialda, Mamdani si è anche fatto fotografare con Siraj Wahhaj, un imam newyorkese la cui visione della legge americana è, a dir poco, avventurosa.

“La legge americana non sarà mai accettabile dai musulmani”, ha dichiarato, eppure eccone qui il nostro sindaco, intrepido come un eroe di un film d’azione.

Magari nella sua mente si sente un ponte tra culture, ma a furia di saltare da un lato all’altro, rischia di cadere.

E non è finita.

Il suo legame con l’attivista pro-Palestina Linda Sarsour getta ulteriore ombra sul suo operato.

Lei, forte delle sue convinzioni provocatorie, non ha esitato a lanciargli avvertimenti pungenti: “Non gli permetterò di fare quel che diavolo vuole quando arriverà al municipio”.

Ecco, questo suona più come una minaccia che come un incentivo alla collaborazione.

Con alleati così, chissà quale guerra civile politica si prepara!

Il vero dilemma, però, è: Mamdani crede realmente nei valori che cerca di promuovere, oppure ci troviamo davanti a un abile acrobata del politically correct in cerca di consensi?

Questa domanda rimane senza risposta mentre assistiamo alla sua danza tra le contraddizioni.

C’è chi dice che il suo impegno sia autentico, altri lo vedono come un’operazione di facciata, un po’ come un artista di strada che suona per raccogliere fondi ma tiene i soldi per sé.

In ogni caso, il dibattito è aperto e vivace, con gli internauti che si divertono a lanciare meme e commenti sarcastici.

Alle spalle di Mamdani, il grande teatro della politica statunitense continua a muoversi, fra eventi di piazza e social media, dove ogni passo falso è amplificato e trasformato in un trending topic.

In questo gioco al massacro della reputazione, si assiste a un continuo rimescolamento degli schieramenti, dove i “woke” si trovano a dover giustificare amicizie discutibili e simpatie sospette.

Tuttavia, non possiamo negare che tutto ciò abbia un certo fascino.

Mamdani è diventato un simbolo di una società che cerca di navigare nel mare agitato delle identità multiple.

La sua figura rappresenta il tormento di una generazione che vuol essere inclusiva, ma che si scontra costantemente con le complessità delle sue scelte.

E così, mentre i cittadini di New York votano e si esprimono, Mamdani continua a oscillare fra le due sponde, con la bandiera dei trans in una mano e la fotografia con Kadaga nell’altra.

Insomma, se ci fosse una medaglia per le gaffe politiche, Mamdani ne sarebbe certo vincitore.

Non per il coraggio di esporsi alle critiche, ma per la sua capacità di farci ridere, o forse piangere, nel tentativo di capire cosa diavolo stia cercando di fare.

In un’era in cui tutto può essere soggetto a scansioni e reazioni istantanee, il suo modo di muoversi sulla scena è pura poesia comica.

E chissà, magari un giorno, con un po’ di fortuna, riuscirà a trovare il suo equilibrio.

Fino ad allora, il pubblico resterà incollato a questo spettacolo tragicomico che sembra non finire mai.

Di Admin

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