
Una commedia dell’assurdo
Ah, il russofilo!
Questa figura così affascinante eppure misteriosa, che si aggira tra le strade delle città italiane con il suo manifesto anti-occidentale, un po’ come Ulisse che naviga verso l’ignoto, ma con un compasso rotto.
Si potrebbe pensare che un’invasione violenta e plateale come quella dell’Ucraina possa spingere chiunque a schierarsi dalla parte della legalità internazionale e della pace, ma non in Italia, dove l’amore per la Russia è una sorta di religione popolare: si pratica nei salotti, nelle riunioni di famiglie allargate e persino nelle manifestazioni, dove i tricolori si mescolano a bandiere russe in un abbraccio fraterno.
Ma perché?
In effetti, il russofilo italiano non è mai un semplice sostenitore di Mosca: è un amante appassionato, imbevuto di retaggi ideologici.
Immaginate di trovarvi davanti a un simpatizzante del comunismo che, nonostante tutto, conserva l’immagine romantica di una Russia eroica, con l’Armata Rossa che avanza su Berlino, mentre ignora che oggi quel “popolo” tanto esaltato è oppresso da un regime autocratico.
Ma va bene, perché la nostalgica evocazione dell’antifascismo sovietico è romantica, e si sa, l’amore spesso annebbia il giudizio.
E poi ci sono le simpatie della destra radicale, un altro aspetto di questa affascinante pièce teatrale. Qui comincia il gioco: l’uomo forte, il patriottismo russo, il rifiuto dell’effimero liberalismo occidentale. È un cocktail esplosivo in cui Vladimir Putin si propone come un eroe tragico, capace di risvegliare la grandezza perduta della Russia, un po’ come un novello Achille, ma con meno testosterone e più propensione al controllo mediatico.
Mentre gli Stati Uniti vengono demonizzati, si costruisce un immaginario dove ogni azione russa è giustificata perché opposta alla “decadenza occidentale”. Che spettacolo!
A questo punto arrivano i movimenti religiosi e complottisti, degni di nota quanto le due fazioni precedenti.
Qui la Russia diventa un baluardo di valori tradizionali, immagine di un cristianesimo puro circondato da un Occidente libertino e pervaso da dubbi morali.
Grazie a RT e Sputnik, la narrazione di un Occidente in declino si insinua nelle menti di chi si sente disorientato, creando un terreno fertile dove l’animosità antiscientifica può fiorire.
E chi ha bisogno di prove quando si può credere in teorie del complotto che vedono la Russia come un faro di autenticità, mentre il resto del mondo è visto come una massa di pecore manipolate? Ovviamente, è una faccenda seria.
Ecco che, immergendoci in questo groviglio di idee e sentimenti, troviamo che l’Occidente è considerato il male assoluto, un’entità malefica contro cui combattere a prescindere dalla natura dei suoi nemici.
L’Ucraina?
Solo un burattino nelle mani della NATO, un “regime nazista”.
La confusione regna sovrana, eppure tutti sembrano affascinati dalla danza macabra di idee contrastanti — la stessa idea di “pace” diventa un’invocazione che copre ogni atrocità.
Se sostieni l’Ucraina, sei un “sottoposto degli Stati Uniti”; se condanni i crimini di guerra russi, sei un propagandista.
Insomma, una vera e propria roulette russa dove le pallottole sono sostituite da frasi storpiate e pregiudizi.
Ma, parliamoci chiaro: analizzare questo fenomeno non significa legittimarlo.
È fondamentale comprenderlo come prodotto di un ambiente culturale ricco di paure e vulnerabilità.
La società italiana vive una crisi d’identità, e nel caos globale trova rifugio nei miti nostalgici e nelle interpretazioni alternative della realtà.
E così, il russofilo moderno si presenta come un maestro del relativismo, riuscendo a far passare l’aggressione come una serie di incomprensioni reciproche.
La capacità di adattamento di questo gruppo è davvero notevole: mantenersi sempre sulla soglia di una posizione di comodo, senza mai compromettere il proprio angolo di visuale.
Ma cosa fare, si chiederà qualcuno?
Rispondere politicamente e civilmente è fondamentale, non solo per difendere l’Ucraina, ma per restaurare un senso critico collettivo, oggi in una fase di precarietà.
Educare, diffondere consapevolezza, smascherare narrazioni costruite per sfruttare incertezze e paure: questo diventa un imperativo.
Senza una chiara delineazione delle posizioni, rischiamo che la nostra società cada preda delle litanie di chi sventola una bandiera russa senza nemmeno sapere (o volere) cosa rappresenti realmente.
In conclusione, il fenomeno russofilo in Italia è una commedia dell’assurdo, un miscuglio di nostalgia, ideologie confuse, resistenza alle evidenze e mancanza di una visione critica.
Un palcoscenico dove i protagonisti recitano la loro parte senza mai interrogarsi sulle implicazioni delle loro scelte, mentre il pubblico, affascinato e disorientato, contempla il dramma di una nazione che sembra aver smarrito la bussola.
E così, mentre Vladimir Putin continua a vivere la sua epica personale, l’Italia si ritrova impantanata in un pantano di ambiguità e contraddizioni, con un futuro che, al momento, appare quanto mai incerto.