A loro importa solo del VOTO dei poveri

In un mondo dove il politicamente corretto regna sovrano e le buone intenzioni sono al centro di ogni dibattito, è fondamentale smascherare la verità dietro la drammatica retorica sociale.

È già noto che ai socialisti non interessa affatto il benessere dei poveri: ciò che brama è il loro voto.

Sì, esatto!

Quell’urna magica che tiene in mano il futuro di un Paese e consente loro di perpetuare un sistema che si nutre di sussidi e assistenzialismo.

Prendiamo ad esempio tutte le brillanti ricette socialiste per combattere la povertà.

La risposta è sempre la stessa: creare una casta di beneficiari sempre più ampia, che dipende dai generosi sussidi statali.

Un bel circolo vizioso, no?

Ogni volta che il sistema si allarga, il consenso viene comprato con “aiuti” e “sostegni”, mentre i contribuenti onesti vengono spremuti come limoni.

Non ci si rende conto che una spesa pubblica sempre crescente porta a un depauperamento dell’economia reale?

Ma chi se ne frega!

L’importante è che ci siano più facce felici alle elezioni!

Eppure, la realtà è sul tavolo con molta più chiarezza di quanto i socialisti vogliano ammettere.

Ogni euro speso in assistenza è un euro sottratto a chi lavora, investe e crea opportunità.

Si riduce la torta e la povertà diventa strutturale.

Bravo!

Complimenti per il risultato.

Hanno creato una società dove le aspirazioni individuali vengono schiacciate da un sistema pensato per mantenere in vita la casta del bisogno.

Un vero capolavoro del pensiero socialista: mantenere le persone in uno stato di necessità perpetua, per avere sempre una fonte di voti assicurati.

Dall’altro lato della barricata, esiste una visione liberale davvero interessante: l’idea che l’approccio migliore per combattere la povertà sia quello di moltiplicare le occasioni di lavoro, stimolare l’imprenditorialità e favorire la crescita economica.

Perché?

Perché un’impresa fiorente produce occupazione e dignità, non assistenzialismo.

Mercati aperti, concorrenza, innovazione: questi sono gli strumenti che hanno sollevato milioni di persone dalla miseria.

Non l’assistenzialismo, ma il coraggio di mettersi in gioco e fare impresa.

La storia ha dimostrato che la vera via d’uscita dalla povertà non passa attraverso il sostegno governativo, ma attraverso la capacità di adattarsi, di innovare e di prosperare.

E qui entra in gioco l’idea di un welfare leggero, come l’imposta negativa sul reddito di Milton Friedman. Se sei in difficoltà, ti viene dato un aiuto, ma nel momento in cui inizi a lavorare e guadagnare, non ti portano via tutto come un ladro in piena notte.

La premialità per il lavoro dovrebbe sempre essere al centro di qualsiasi politica sociale.

E se credi che “pagheranno i ricchi”, ecco la verità che ti farà sobbalzare: alla fine, a soffrire sono sempre i soliti noti.

I piccoli imprenditori, gli autonomi e quei laboratori atipici che stanno cercando semplicemente di sopravvivere.

Li trattano come evasori solo perché, incredibilmente, desiderano non finire nel gorgo dell’assistenzialismo.

È una sorta di paradosso etico: chi lavora onestamente è punito, mentre chi vive di assistenza viene esaltato come vittima di un sistema oppressivo.

E allora, dove vanno i ricchi?

Se ne vanno, naturalmente.

Chi può permetterselo fugge da un Paese che tratta i propri cittadini benestanti come vacche da mungere.

Stiamo parlando di un Paese che sogna di fabbricare la ricchezza attraverso la super redistribuzione della povertà.

La mitologia socialista ci racconta di un paradiso in cui tutti i mali sono risolti dalle mani sapienti dello Stato, ma la verità è ben diversa.

Le super redistribuzioni funzionano solo una tantum.

Quando provi a ripeterle, ti accorgi che non è rimasto più nessuno da cui prelevare.

E così, l’asticella viene abbassata sempre di più, fino a ritrovarsi a rubare a un povero per dare a un poveraccio.

Veramente un bel sistema!

Ecco, purtroppo, se esprimi dei dubbi su questo modo di operare in Italia, ti guardano con occhi sbarrati e ti dicono che “ai liberali non importa dei poveri”.

Sì, perché i liberali non credono in soluzioni basate sull’emotività, soluzioni di pancia che servono solo a comprare facile consenso.

Ma hey, non importa!

Continuate pure a illudervi che dare soldi a casaccio faccia sparire la miseria.

Nel frattempo, noi continueremo a sostenere che il vero cambiamento deve partire dal lavoro e non dalla carità.

In conclusione, ciò che sembra più evidente è che il divario tra le due visioni – quella socialista e quella liberale – è incolmabile.

Una cerca di costruire un castello di carte fondato su promesse irrealizzabili e assistenzialismo; l’altra punta sulla libertà, l’intraprendenza e la creazione di valore reale.

La scelta è chiara, e la storia ha già scritto il suo verdetto: il progresso si ottiene solo quando si abbandona il modello della dipendenza e si abbraccia l’idea di un’economia che valorizza e premia il lavoro.

Ma continuiamo a fare finta di niente e a girovagare nell’illusione che levare qualche euro al ricco risolve i problemi della povertà.

È divertente, no?

Forse prima o poi ci sveglieremo da questo sogno e ci renderemo conto che la strada verso la vera prosperità passa per il lavoro, la meritocrazia e la libertà.

Ma forse è chiedere troppo a chi, per tutta la vita, ha preferito restare nel comodo abbraccio di un sistema che promette aiuto ma crea solo dipendenza.

Di Admin

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