Dezinformatsiya: La militarizzazione dell’informazione in Italia

In un mondo sempre più globalizzato, la verità e la disinformazione si intrecciano in una danza pericolosa che, come un abile poeta dell’inganno, sparge il dubbio tra le menti fragili degli spettatori.

Il termine “disinformazione” ha origini lontane, risalenti a prima del 1983, quando le spie del KGB sovietico decisero di costruire uno “speciale ufficio di disinformazione”.

L’idea era semplice ma diabolica: mescolare un po’ di verità con menzogne, perché si sa, se lo zucchero aiuta a far andare giù la medicina amara, cosa c’è di meglio di un bel cocktail di verità distorta?

Sergio Mattarella, il Presidente della Repubblica, non ha tardato a sollevare questo allerta nel suo discorso alla conferenza degli ambasciatori alla Farnesina.

Ha avvertito delle “pericolose attività di disinformazione”, paragonandole a un virus maligno che infetta le opinioni pubbliche dei Paesi democratici.

Le sue parole echeggiano nel vuoto della nostra attenzione, come un eco infinito in una casa abbandonata.

Eppure, la disinformazione è un fenomeno che, in Italia, sembra non suscitare nemmeno un battito di ciglia.

Un esempio lampante di questa indifferenza si è manifestato recentemente con la fuga di tre accademici dalla rivista “Limes”, un organo di informazione diretto da Lucio Caracciolo, esponente di quel circolo radical chic che, da decenni, detta la linea alla sinistra italiana, ora guidata dalla freschezza di Elly Schlein.

Una defezione che, al di là dei nomi coinvolti, segnala un disagio profondo, un’insofferenza verso un certo modo di intendere il dibattito culturale e politico.

“Limes”, per anni, ha rappresentato un punto di riferimento, un luogo di confronto (spesso anche di scontro) per intellettuali e studiosi di varia provenienza.

Ma, a quanto pare, qualcosa si è incrinato.

Le ragioni di questa fuga, si sussurra, sarebbero da ricercare in un’eccessiva autoreferenzialità, in una certa impermeabilità alle nuove istanze e, soprattutto, in una progressiva omologazione del pensiero.

Un male, quest’ultimo, che affligge gran parte della sinistra italiana, incapace di rinnovarsi e di elaborare una visione del mondo che vada oltre gli slogan e le formule trite e ritrite.

Elly Schlein, da questo punto di vista, si trova di fronte a una sfida ardua: quella di scrollarsi di dosso l’eredità di un passato ingombrante e di costruire un futuro che sappia parlare al Paese reale, non solo ai salotti buoni della politica e della cultura.

Gli accademici, Federico Argentieri, Franz Gustincich e Giorgio Arfars, hanno espresso la loro indignazione con un telegramma che avrebbe potuto scatenare un vento di cambiamento, se solo avessimo avuto orecchie pronte ad ascoltare.

Il motivo di questa clamorosa defezione?

Un pregiudizio strutturale di “Limes” nei confronti dell’Ucraina, profumando di affetto per la Russia, come un vecchio whisky invecchiato in botte.

Argentieri ha descritto l’atmosfera mediatica italiana come una nube tossica, avvelenando il pubblico e influenzando la politica.

Non poteva essere più chiaro.

Quando un’organizzazione di peso come “Limes” contribuisce alla disinformazione, l’impatto è molto più grave rispetto ai soliti “ciarlatani televisivi”.

La questione dell’”accountability” si erge come un monito. In Italia, dove il concetto sembra scomparso, quando un esperto geopolitico sbaglia alla grande, dovrebbe rendere conto del proprio errore.

Ma qui da noi, il miracolo dell’amnesia collettiva è sempre in azione.

Caracciolo, sempre a suo agio nei salotti televisivi, continua a snocciolare le sue verità scomode, senza curarsi minimamente del terremoto provocato dai suoi ex collaboratori.

La sera stessa della defezione, Caracciolo si è presentato come un inguaribile ottimista alla trasmissione di Lilli Gruber, ignorando del tutto la crisi in corso nella sua rivista.

Con la nonchalance di un maestro d’orchestra che continua a dirigere mentre il suo concerto implode, attacca Zelensky e l’Ucraina, che osano resistere a Putin.

“Ma chi credono di essere?”, sembra chiedersi, mentre le sue opinioni fluttuano nell’aria come palloncini in una festa di compleanno mal organizzata.

E a proposito di organizzazione, chissà chi diventerà il nuovo proprietario di “Limes”, una rivista che, a questo punto, potrebbe anche passare di mano a un portavoce russo.

Magari un’agenzia governativa russa che ne tragga profitto. Immaginate le riunioni strategiche: “Catturiamo l’attenzione dei nostri lettori con un mix di verità e menzogna!”.

Chissà, questa potrebbe rivelarsi l’innovazione editoriale che l’Italia aspettava.

Potremmo addirittura immaginare una nuova ruota della fortuna dell’informazione, dove i partecipanti girano per aggiudicarsi articoli fittizi su eventi reali, ma distorti.

Il destino della verità in Italia sarebbe in mano a un gruppo di esperti nel disegno di pubbliche relazioni, capaci di trasformare anche l’incontro di calcio più innocuo in una battaglia geopolitica.

Dietro ogni scandalo, ogni polemica, ogni presunta rivelazione, si celerebbe una strategia ben precisa, orchestrata da menti capaci di manipolare l’opinione pubblica come un burattinaio muove i fili.

La realtà, in questo scenario, diventerebbe un concetto fluido, plasmabile a piacimento, un’arma da utilizzare per raggiungere obiettivi politici o economici.

E noi, semplici spettatori, saremmo ridotti a creduloni, incapaci di distinguere la verità dalla finzione, intrappolati in un labirinto di specchi deformanti.

Il dubbio si insinua, strisciante: cosa è reale e cosa è frutto di un’abile manipolazione?

Chi sono i veri burattinai e quali i loro scopi?

La risposta, forse, è celata in un groviglio di interessi inconfessabili, in un gioco di potere dove la verità è solo una pedina sacrificabile.

E mentre tutto ciò accade, il cittadino medio rimane incollato al proprio smartphone, scrollando notizie come se stesse passando in rassegna una vetrina di moda, senza rendersi conto di essere bombardato da un’ideologia travestita da informazione.

Una vera e propria guerra dell’informazione, dove i confini tra realtà e fiction diventano sempre più labili.

É tempo di chiedersi: come possiamo fronteggiare questa ondata di disinformazione?

Quali strumenti abbiamo a disposizione per armare il nostro intelletto e difenderci da manipolazioni così sfacciate?

L’educazione potrebbe essere la risposta, ma ahimè, questa è una battaglia che richiede tempo, pazienza e risorse, tutte cose che sembrano scarseggiare nel nostro bel paese.

È evidente che la militarizzazione dell’informazione è un tema scottante, piuttosto sottovalutato, e invece meriterebbe ben altro approfondimento.

In un’epoca in cui le false notizie possono generare veri conflitti, dove trovare un rifugio sicuro dalle tempeste della disinformazione?

Qui in Italia, sembra che il faro della verità non brilli tanto forte quanto vorremmo.

E così, mentre seguiamo la ballata triste di “Limes” e dei suoi protagonisti, non possiamo fare a meno di chiederci: chi avrà la meglio in questa guerra invisibile?

I guardiani della verità o i professori della disinformazione?

Solo il tempo potrà dircelo, mentre noi continuiamo a scrutare il panorama informativo come se fosse un intricato labirinto, senza un filo d’Arianna che ci guidi verso l’uscita.

Di Admin

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