
Ecco che ci risiamo, cari lettori, il circo mediatico è tornato in scena, e in primo piano troviamo i nostri amatissimi agricoltori con i loro trattori, pronti a sfidare l’Europa e, questa volta, anche il trattato di libero scambio con i paesi Mercosur.
Che delizia!
È come se avessimo un copione già scritto, ogni volta la stessa storia. Perché, diciamocelo chiaramente, chi non ama il profumo di fieno e l’odore di populismo che aleggia nell’aria?
Ricordate il CETA con il Canada?
Ah, che bella epopea!
Prima che venisse approvato, un esercito di asini – di destra e di sinistra – insieme a sindacati e associazioni di categoria, si era mobilitato come se stessimo parlando della fine del mondo.
“Il trattato distruggerà l’agroalimentare italiano!” gridavano,
“Concorrenza sleale dal Canada!”
In pratica, sembrava che avessimo appena firmato un contratto con il diavolo stesso.
Ma indovinate un po’?
I fatti parlano chiaro.
Prima del CETA, l’Italia esportava beni per circa 3,7 miliardi di euro nel 2016
. E ora?

Nel 2024, siamo saliti a 6,14 miliardi di euro!
Quasi il doppio!
Non c’è niente da fare, il libero scambio ha arricchito l’Italia, ma i puritani dell’illiberalità, i paladini del protezionismo, continuano a non accorgersene.
Strano come si possa rimanere ciechi di fronte ai dati, eh?
Adesso, però, la musica cambia. I pasdaran del “no” al libero scambio si stanno preparando per l’ennesima battaglia, e questo giro hanno puntato i riflettori sui consumatori sudamericani.
“Sì, certo!
Facciamo in modo che le nostre imprese non possano accedere a quel mercato!”
Questa la nuova chiamata alle armi.

Scommettiamo che tra poco rilanceranno le storielle sul pollo all’ammoniaca e sull’omelette di cavallette? È un grande classico, rivisitato e aggiornato!
Ma chi sono questi impavidi guerrieri del grano?
Guarda caso, a mettere i bastoni tra le ruote dell’accordo, ci sono proprio loro: l’Italia
. Un paese dove un governo sembra essere ostaggio dei soliti noti, rappresentanti di un mondo agricolo scarsamente alfabetizzato – perché, sapete, il sapere è un optional da cui possiamo assolutamente prescindere quando si parla di trattati internazionali.
Che siano lobby o semplici cittadini manovrati da una paura ancestrale di perder tutto, il risultato è lo stesso.
In questo panorama, vi invito a riflettere su quanto sia ridicolo il dibattito attuale
. Da un lato, ci sono gli esperti, economisti che spiegano come i mercati aperti portino benefici a lungo termine.
Dall’altro, i nostri amati agricoltori, armati di slogan e bandiere, che gridano alle ingiustizie di un mondo globalizzato.
A volte mi viene da pensare che i veri eroi di questa storia siano i consumatori, ignari delle battaglie ideologiche che si combattono in loro nome.
La verità è che i consumatori sudamericani meritano di conoscere il nostro agroalimentare, e noi abbiamo bisogno di espandere i nostri mercati.
Ma chiaro, non importa quanto siano evidenti i benefici.
La paura di ciò che non conosciamo spesso ci fa intrappolare in una bolla di nostalgia per un passato che non tornerà mai più.
E mentre il mondo cambia, noi siamo qui a ripeterci che “è meglio restare chiusi in casa piuttosto che rischiare di vedere il nostro formaggio di pecora spazzato via da un’omelette di cavallette”.
Ah, l’ironia della vita! Mentre i trattori avanzano, le altre nazioni ci sorpassano e noi continuiamo a dibattere su zucchine e polli.
Magari un giorno ci sveglieremo e ci renderemo conto che cavalcare il protezionismo non ci porterà da nessuna parte.
Fino ad allora, prepariamoci al prossimo episodio di “Trattori e Trattati: la saga continua”!
Possiamo anche concedere un attimo di compassione a questi protagonisti della campagna, ma non troppo, perché alla fine tutto si riassume in una questione di opportunità.
L’Europa offre accesso a milioni di consumatori e noi abbiamo la possibilità di esportare il nostro eccellente prodotto, ma tutto ciò si scontra con un’ideologia retrograda pronta a fermare qualsiasi progresso.
Quindi, prima di scendere in piazza con i trattori, forse sarebbe meglio riflettere un attimo.
Il mondo è cambiato, e continuare a guardare indietro non ci porterà in avanti.
Al contrario, ci condurrà dritti verso un autunno di incertezze e rifiuti, mentre i nostri concorrenti in Sud America si preparano a cogliere le opportunità che noi lasciamo sfuggire.
In conclusione, ribadiamo il nostro invito: informarsi, confrontarsi e non cadere nella trappola del panico collettivo.
Perché essere in piazza con i trattori può sembrare una manifestazione di forza, ma senza una visione chiara, tutto ciò che riusciamo a ottenere è solo un rumore assordante in un mondo ormai globalizzato. La vera guerra si gioca sulle tavole, nei mercati e nelle cucine, non tra i motori dei trattori in piazza San Giovanni.
La scelta è semplice: ampliare i confini dell’opportunità o rimanere fermi a discutere attorno a una tavola imbandita di nostalgie?
La risposta potrebbe sorprenderci, ma a patto che ci si apra al cambiamento.
E, chissà, potremmo scoprire che il pollo all’ammoniaca e l’omelette di cavallette non sono poi così spaventosi se ci si dedica un attimo di creatività culinaria!
Direi che per oggi siamo a posto. Intanto, rimaniamo sintonizzati per il prossimo round, perché, come ben sappiamo, il teatro della politica è sempre pronto a riempirsi di nuove, scintillanti performance.
E noi?
Possiamo solo restare a guardare, cartello alla mano e un sorriso sarcastico sulla faccia, partecipando a questa tragicommedia tutta italiana.