La morte di Claudio Domino
Di Nicola Comparato
Sono le ore 21 del 7 ottobre 1986. Il piccolo Claudio Domino, è il figlio di Antonio, titolare di una impresa di pulizie che ha in gestione per lavoro in appalto l’aula bunker del maxiprocesso a Cosa Nostra. La madre, Graziella Accetta, invece è proprietaria di una cartolibreria. Claudio ha 11 anni e vive nel quartiere San Lorenzo di Palermo. Quella sera, mentre è di ritorno con gli amici da una partita di calcio, un uomo in sella ad una motocicletta gli si avvicina e lo chiama per nome. Istintivamente il ragazzo si dirige verso l’uomo che di colpo estrae una pistola e gli spara un colpo in mezzo alla fronte. In seguito all’uccisione del ragazzo tante sono le ipotesi in merito al movente da parte dei giornali e dell’opinione pubblica.

Forse il ragazzo ha visto qualcosa (droga) o qualcuno (narcotrafficanti) che non doveva vedere. Ma gli anni passano fino ad arrivare al giorno d’oggi senza mai dare una risposta per spiegare l’effettiva causa della morte del ragazzo. Una giustizia, insieme a metodi investigativi che deludono tutta la famiglia Domino, per una morte misteriosa destinata a rimanere tale. I primi sospettati dell’omicidio sono ovviamente i membri di Cosa Nostra. La morte di Claudio è avvenuta proprio durante il Maxiprocesso, ma in aula durante le udienze, a prendere le distanze dal delitto è proprio la criminalità organizzata attraverso le parole del Boss Giovanni Bontade, che dichiara inoltre la vicinanza al dolore della famiglia Domino. Un anno dopo il Boss Bontade e sua moglie vengono uccisi proprio per le parole pronunciate in aula, . Anche il Capo dei Capi Totò Riina fa il suo appello ai mafiosi per scoprire la verità sul tragico fatto, e il 20 dicembre 1986 scompare Salvatore Graffagnino di 52 anni, titolare del locale situato davanti al luogo dell’omicidio di Claudio. Dalle parole riferite alla polizia da alcuni ex mafiosi divenuti poi collaboratori di giustizia, si apprende che il Graffagnino è stato rapito, chiuso nel bagagliaio di una automobile ed infine condotto al cospetto del boss locale. Il Graffagnino viene torturato ed infine ammette di essere il mandante dell’omicidio, rivelando anche il nome dell’omicida, un tossicodipendente ucciso dai mafiosi con un’overdose. Un’altra vita strappata all’affetto dei suoi cari quella di Claudio Domino, con molte più domande che risposte, ma che in comune con tutte le altre storie già raccontate o ancora da raccontare merita assolutamente giustizia e verità.