De Ficchy Giovanni

Comincia da qui l’inchiesta del nostro periodico on line, riguardo alla applicazione della legge che istituì nel lontano 2004 la figura dell’Amministratore di sostegno.

Trattandosi di una materia molto complessa mi avvarrò dell’aiuto di psicologi, psichiatri giuristi.

Intervisterò le persone che sul campo vivono questa situazione sulla propria pelle.

Legge 6/2004, per molti operatori del settore è un vero e proprio disastro.

Oggi molte evidenze mostrano come l’attuale dispositivo giuridico si presti anche a configurare situazioni di arbitraria compressione dei diritti di soggetti vulnerabili, quando non vere e proprie violenze.

Questo porta a far pensare che l’introduzione di qualche correttivo sia decisamente urgente.

Una recente proposta di legge, presentata come sempre dal pd, istituisce una nuova figura tra gli amministratori di sostegno;

Il “debolologo” è ovviamente un amministratore di sostegno, che non ha alcuna formazione in merito, nessun corso di studio specifico alle spalle.

Nulla di nulla.

Eppure questo termine è usato in questa proposta di legge che mira al rafforzamento dell’amministrazione di sostegno e al rafforzamento dell’istituto di interdizione e inabilitazione.

Quando venne approvata, la Legge che istituì in Italia l’amministrazione di sostegno fu accolta con entusiasmo e aspettative dall’associazionismo di settore.

Chi l’aveva promossa e sostenuta conosceva bene la portata ablativa dei diritti dell’interdizione e dell’inabilitazione che, senza guardare alle reali capacità della persona, e spesso sulla sola base di una diagnosi, stabilivano che alla stessa venisse preclusa la possibilità di compiere un “pacchetto preconfezionato” di atti giuridici. 

A Roma ad esempio;

Gli iscritti all’Albo tenuto dal tribunale sono appena 155 su circa 20.000 amministrati (fonte ufficiale del tribunale). Dal che si deduce che ben 19.845 amministratori di sostegno sono del tutto improvvisati, gente che non ha mai fatto un corso di formazione e si inventa di diventare ads senza la minima preparazione. Siano essi ads familiari o non.

 Paolo G. Parovel , in un dossier  «La voce di Trieste» il 16 aprile 2013, e ripreso dall’Associazione “Diritto alla follia”.

Descriveva ciò che stava documentatamente accadendo a Trieste e altrove in Italia, in maniera episodica o sistematica: «Vengono sottoposte ad amministrazione di sostegno anche persone capaci di gestirsi; il provvedimento viene assunto contro la loro volontà o addirittura a loro insaputa su segnalazioni non adeguatamente verificate di alcuni operatori sociosanitari; il tribunale non affida il ruolo di amministratore di sostegno a parenti o persone amiche adatte e gratuitamente disponibili, ma ad avvocati, commercialisti od ai predetti operatori, ed anche con onorari a spese dell’amministrato; tali amministratori ricevono dal giudice poteri totalitari, analoghi a quelli dell’interdizione, che giungono a privare l’asserito “beneficiario” non solo dell’amministrazione dei suoi beni ma anche della gestione della propria salute e addirittura della corrispondenza.

Si tratta di violazioni radicali ed anticostituzionali dei diritti fondamentali alla difesa ed al giusto processo, destinate a particolari soggetti deboli in violazione del principio di eguaglianza dei cittadini.

Anche il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, nel 2016, nelle sue Osservazioni Conclusive al primo rapporto dell’Italia sull’applicazione della citata Convenzione (che, va ricordato, è stata ratificata dal nostro Paese con la Legge 18/09), si esprimerà sul tema. In particolare, valutando l’applicazione dell’articolo 12 del Trattato (in materia di Uguale riconoscimento davanti alla legge).

Concetto giuridico, tra l’altro tutelato anche dall’art. 3 della Nostra Costituzione.

il Comitato ha raccomandato «di abrogare tutte le leggi che permettono la sostituzione nella presa di decisioni da parte dei tutori legali, compreso il meccanismo dell’amministratore di sostegno, e di emanare e attuare provvedimenti per il sostegno alla presa di decisioni, compresa la formazione dei professionisti che operano nei sistemi giudiziario, sanitario e sociale» (punto 28).
Giusto due anni prima, nell’aprile del 2014, il Comitato aveva dedicato proprio all’articolo 12 il primo dei suoi Commenti generali, preziosi strumenti elaborati allo scopo di dare agli Stati indicazioni circa la corretta applicazione dei singoli articoli della Convenzione.

Di Admin

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