De Ficchy Giovanni

Nel 1856, nel corso dell’Esposizione Internazionale, la Conferenza di Parigi assegnò al Regno delle Due Sicilie il terzo posto fra i Paesi più industrializzati del mondo, dopo Inghilterra e Francia.

Un risultato, indubbiamente, prestigioso che era, sì, conseguenza della lungimirante politica economica di Ferdinando II, ma affondava le sue origini in due provvedimenti doganali assunti qualche anno prima (il 15 dicembre del 1823 ed il 20 novembre del 1824) da suo nonno Ferdinando I, a difesa dello sviluppo autoctono dell’industria al Sud.

Le regioni più industrializzate d’ Italia, prima del 1860, erano la Campania, la Calabria e la Puglia: per i livelli di industrializzazione le Due Sicilie si collocavano ai primi posti in Europa.

E fra queste, oltre un centinaio di mulini e pastifici, nella stragrande maggioranza azionati a vapore e con manodopera tutta locale, localizzati fra Gragnano, Torre Annunziata, Costiera amalfitana, Crotone e Catanzaro, che riempivano il mondo (Russia e America comprese) di maccheroni campani: da sottolineare che la produzione di pasta meridionale nel 1856 fu premiata all’Esposizione Universale di Parigi.

Ma ieri, come oggi, l’Italia del Sud poteva contare sull’immenso tesoro naturale che madre natura le aveva servito su di un “piatto d’argento”: il mare che, per altro, non ancora inquinato, dava una notevole quantità di pescato.

Un’abbondanza che aveva consentito, a sua volta, la nascita di innumerevoli stabilimenti ittici.

Altro elemento trainante dell’economia del Regno delle Due Sicilie era rappresentato dall’industria metalmeccanica e siderurgica

. Nel primo comparto operavano un centinaio di aziende, 15 delle quali davano occupazione a più di 100 addetti e 6 a più di 500, mentre a Pietrarsa era in attività, sin dal 1840, la più grande industria metalmeccanica d’Italia.

In Calabria erano famose le acciaierie di Mongiana, con due altiforni per la ghisa, due forni Wilkinson per il ferro e sei raffinerie, occupava 2.500 operai.

L’industria decentrata della seta occupava oltre 3.000 persone.

La piu’ grande fabbrica metalmeccanica del Regno era quella di Pietrarsa, (fra Napoli e Portici), con oltre 1200 addetti: un record per l’Italia di allora.

Dietro Pietrarsa c’era l’Ansaldo di Genova, con 400 operai.

Lo stabilimento napoletano produceva macchine a vapore, locomotive, motori navali, precedendo di 44 anni la Breda e la Fiat.

A Castellammare di Stabia, dalla fine del XVIII secolo, operavano i cantieri navali più importanti e tecnologicamente avanzati d’Italia.

In questo cantiere fu allestita la prima nave a vapore, il Real Ferdinando, 4 anni prima della prima nave a vapore inglese.

Da Castellammare di uscirono la prima nave a elica d’ Italia e la prima nave in ferro.

La tecnologia era entrata anche in agricoltura, dove per la produzione dell’olio in Puglia erano usati impianti meccanici che accrebbero fortemente la produzione.

L’ Abruzzo era importante per le cartiere (forti anche quelle del Basso Lazio e della Penisola Amalfitana), la fabbricazione delle lame e le industrie tessili.

La Sicilia esportava zolfo, preziosissimo allora, specie nella provincia di Caltanissetta, all’ epoca una delle città più ricche e industrializzate d’ Italia.

In Sicilia c’erano porti commerciali da cui partivano navi per tutto il mondo, Stati Uniti ed Americhe specialmente.

Importante, infine era l’ industria chimica della Sicilia che produceva tutti i componenti e i materiali sintetici conosciuti allora, acidi, vernici, vetro.

Puglia e Basilicata erano importanti per i lanifici e le industrie tessili, molte delle quali gia’ motorizzate.

La tecnologia era entrata anche in agricoltura, dove per la produzione dell’olio in Puglia erano usati impianti meccanici che accrebbero fortemente la produzione.

Le macchine agricole pugliesi erano considerate fra le migliori d’Europa.

La Borsa più importante del regno era, infine, quella di Bari.

Una volta occupate le Due Sicilie, il governo di Torino iniziò lo smantellamento “cinico e sistematico” del tessuto industriale di quelle che erano divenute le “province meridionali”.

Pietrarsa (dove nel 1862 i bersaglieri compirono un sanguinoso eccidio di operai per difendere le pretese del padrone privato cui fu affidata la fabbrica) fu condannata a un inarrestabile declino.

Nei cantieri di Castellammare furono licenziati in tronco 400 operai.

Le acciaierie di Mongiana furono rapidamente chiuse, mentre la Ferdinandea di Stilo (con ben 5000 ettari di boschi circostanti) fu venduta per pochi soldi a un “colonnello garibaldino”, giunto in Calabria al seguito dei “liberatori”.

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