De Ficchy Giovanni

La politica fiscale è un gatto che si morde la coda.
L’Italia è uno dei Paesi del mondo dove si pagano più tasse.
Questo dipende dal fatto che le riforme amministrative vengono concepite utilizzando gli stessi schemi concettuali e modelli teorici che causano le disfunzioni che ci si ripromette di superare. I tentativi finora posti in opera hanno affrontato i sintomi ma non le cause del malessere.
Il governo di centro destra aveva disegnato un sistema fiscale sempre più amico delle imprese, che le aiuti a produrre, e non disturbi chi produce, ma per questo compito il Direttore Ruffini non era tagliato fin dall’inizio.
Ultimamente infatti abbiamo saputo delle dimissioni del dott. Ernesto Maria Ruffini, Direttore generale dell’Agenzia delle Entrate, e delle sue esternazioni successive.
Si trattava di una personalità molto vicina al Segretario di Italia Viva ed ex premier Matteo Renzi, nominato appunto dal Pd, e che nel 2010 dal palco della Leopolda aveva annunciato come primo obiettivo quello della digitalizzazione come strategia utile per combattere l’evasione fiscale.
Con lo stipendione da oltre 200.000 Euro l’anno; non si tratta di previsioni o supposizioni ma è il guadagno netto.
Il clamore deriva appunto dalle dichiarazioni che le hanno accompagnate: “Mi sono dimesso, non accetto di passare da estorsore di un pizzo di Stato”; “A volte sembra quasi che contrastare gli evasori sia una colpa e ci si preoccupi più di questo che degli ospedali che chiudono, delle scuole che non hanno fondi o della carenza di servizi perché le risorse sono insufficienti”.
Queste affermazioni, preludono chiaramente ad una discesa in campo dell’ex boiardo di stato, magari tra le file dei centristi “moderati” del PD.
Ritengo indubbio che l’azione dell’Agenzia delle Entrate, in questi ultimi anni, sotto la sua direzione, sia stata particolarmente foriera di interventi interpretativi, talvolta postumi, che hanno reso complicato il rapporto con il fisco.
Assistiamo, ad esempio, alla moltiplicazione degli atti atipici che l’Agenzia dell’Entrate ha a disposizione, talvolta creati ad hoc, che rendono il rapporto fisco-contribuente particolarmente complesso ai limiti della sostenibilità economica e psicologica.
Suscitando la reazione dei contribuenti ad esempio quella del popolo delle partite Iva che non accetta di buon grado di essere considerato sempre e comunque quale evasore.
Non voglio far finta che l’evasione non esista, ma l’azione per combatterla si rivolge sempre verso coloro che già sono più o meno fedeli al fisco e che, dunque, subiscono una pressione fiscale e burocratica che non ha precedenti.
Ad avviso di tutti, infatti, l’azione della Pubblica amministrazione deve regolare l’attività dei cittadini e non ostacolarla.
Dal punto di vista politico, l’idea del fisco amico, così importante nel progetto di politica economica di Giorgia Meloni, per i funzionari dell’ Agenzia delle Entrate assunti da esponenti del Pd, doveva assolutamente fallire.
Il direttore dell’Agenzia, Ernesto Maria Ruffini, a questo punto ha dato le dimissioni perché non ha ritenuto di restare al suo posto, poiché l’impostazione voluta dal governo Meloni, cominciava a dare i suoi frutti, e a questo punto, ha dovuto dimettersi, sotto le pressioni dei suoi sponsor