Giovanni De Ficchy

Nelle sovraffollate carceri venezuelane, dove il caldo soffocante e il sovraffollamento sono la norma, un gruppo di americani vive un incubo senza tregua.

Tra loro c’è David Estrella, un newyorkese di 62 anni il cui ultimo contatto con il mondo esterno è stato un semplice viaggio pieno di intenzioni amichevoli: attraversare il confine con la Colombia con profumi, vestiti e scarpe per gli amici conosciuti in un precedente viaggio in Venezuela.

Oggi la sua ubicazione è un mistero. “È come piangere qualcuno che è ancora vivo”, dice Margarita Estrella, sua ex moglie e madre di tre figli.

La sua voce si spezza mentre descrive l’incertezza che affligge la famiglia.

“Non poter sentire la sua voce o dirgli che stiamo ancora lottando per lui rende tutto ancora più doloroso”.

David non è un caso isolato.

Almeno altri nove cittadini statunitensi condividono la stessa sorte, intrappolati in un limbo legale in un Paese in cui i processi giudiziari sono poco chiari e le tensioni diplomatiche con gli Stati Uniti complicano qualsiasi tentativo di salvataggio.

La maggior parte di loro non ha avuto accesso a un avvocato e i loro contatti con il mondo esterno si limitano a vaghi aggiornamenti sulla famiglia.

La paura della tortura, denunciata in passato da altri detenuti, è uno spettro che perseguita i loro cari.

Le circostanze che circondano gli arresti rappresentano un enigma che pochi riescono a ricostruire.

Il ministro degli Interni venezuelano Diosdado Cabello ha accusato Estrella di aver preso parte a un complotto per assassinare il presidente Nicolás Maduro, associandolo a Wilbert Castañeda, un Navy SEAL statunitense.

Le loro famiglie insistono nel dire che i due uomini non si sono mai incontrati.

In mezzo a queste tensioni, il presidente eletto Donald Trump, che tornerà alla Casa Bianca il 20 gennaio, si trova di fronte a un dilemma che incarna il fallimento della sua precedente strategia di “massima pressione” contro Maduro.

Questo approccio, mirato a rovesciare il regime, non solo rafforzò la posizione del leader venezuelano, ma approfondì anche le alleanze strategiche di Caracas con Russia, Cina e Iran, avversari storici degli Stati Uniti.

Gli analisti ritengono che ripetere questo percorso sarebbe un errore.

“Sarebbe più saggio adottare un approccio più pragmatico, simile a quello adottato dagli Stati Uniti con l’Arabia Saudita”, afferma Brian Fonseca, esperto di sicurezza nazionale.

Tuttavia, la retorica di Trump finora non indica un cambio di direzione.

Maduro, da parte sua, sembra giocare le sue carte magistralmente, utilizzando gli stranieri detenuti come pedine di una complessa scacchiera diplomatica.

Il suo governo ha aumentato gli arresti di stranieri, dai 300 prigionieri politici di luglio ai quasi 1.800 di oggi, tra cui 47 cittadini di 13 paesi diversi.

Le famiglie americane, come quella di David Estrella, vivono intrappolate in un’agonia che mescola impotenza e speranza.

Margarita ricorda David come un uomo avventuroso, la cui curiosità per il mondo lo portò prima in Ecuador e poi in Venezuela. “Hai parlato con lui per qualche minuto e lui ti ha chiamato fratello”, dice con un sorriso che svanisce subito.

Oggi, mentre Maduro inizia il suo terzo mandato in un Paese lacerato da sanzioni e crisi, gli americani imprigionati continuano a essere attori silenziosi in un gioco di potere che trascende i confini.

Per loro il passare del tempo non si misura in giorni, ma in minuti di incertezza.

E per le loro famiglie, ogni minuto senza notizie è un crudele promemoria che a volte la prigione più crudele non ha sbarre: è l’incertezza.

Di Admin

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