De Ficchy Giovanni

“L’UE si riconosce nel Talmud”, una dichiarazione fuorviante…

Si tratta di una dichiarazione apparentemente spaesante e priva di ogni logica, ma che in realtà presenta un senso profondo, come subito chiariremo: per dirla con l’Amleto di Shakespeare, vi è del metodo in questa follia.

Ecco, dunque, il nocciolo della questione: la sconnessione apparente, l’assurdità che balza agli occhi, non sono altro che un velo, una cortina fumogena sapientemente orchestrata per celare una verità più complessa, più sfuggente.

Come un quadro surrealista, all’inizio ci lascia interdetti, forse perfino irritati dalla mancanza di un significato immediato; eppure, persistendo nell’osservazione, scorgiamo fili conduttori inattesi, connessioni sottili che ci guidano verso una comprensione più profonda.

Si pensi, ad esempio, alla logica dei sogni: un caleidoscopio di immagini slegate, situazioni impossibili e personaggi fuori dal tempo, che però, attraverso l’analisi e l’interpretazione, rivelano i nostri desideri più reconditi, le nostre paure più ancestrali.

Allo stesso modo, la “follia” di cui stiamo parlando non è un caos informe, ma un linguaggio cifrato, un codice da decifrare per accedere a un livello di realtà altrimenti inaccessibile.

E non si tratta di una prerogativa esclusiva dell’arte o della psicologia: anche nella scienza, spesso le scoperte più rivoluzionarie nascono da intuizioni apparentemente irrazionali, da salti logici che sfidano le convenzioni e aprono nuove prospettive.

Si pensi all’aneddoto della mela di Newton: una caduta apparentemente banale, che però ha innescato un processo di riflessione che ha portato alla formulazione della legge di gravità universale.

Dunque, non temiamo la “follia”, ma impariamo ad ascoltarla, a interrogarla, a cercarne il “metodo” nascosto.

Perché è proprio in quei territori inesplorati, al confine tra la ragione e l’irrazionale, che si celano le più grandi illuminazioni e le più sorprendenti verità.

La “follia”, in fondo, è solo un altro modo di guardare il mondo, un punto di vista alternativo che può arricchire la nostra comprensione e renderci più saggi.

Anzitutto non passi inosservata la contraddizione di base: l’Unione Europea ha sempre fatto di tutto per negare il riconoscimento delle radici cristiane nella propria costituzione e nel proprio impianto e ora afferma bellamente, per bocca della sacerdotessa dei mercati apolidi, di riconoscersi nel Talmud.

E lo fa, per giunta, ammiccando ad un testo che, al di là delle interpretazioni spirituali, è anche una summa di precetti giuridici e sociali, che, diciamolo chiaramente, non sempre collimano con i valori universalistici sbandierati.

Che dire poi del sottile (ma neanche tanto) gioco di prestigio: si sostituisce la radice con un suo frutto, presumibilmente più “gestibile” e meno “compromettente” per le sensibilità laiciste o, peggio, per le agende ideologiche.

Un’operazione di ingegneria culturale che, anziché unire, rischia di acuire le divisioni e di alimentare quel senso di smarrimento identitario che serpeggia tra i cittadini europei.

E intanto, la “sacerdotessa”, forte del suo potere tecnocratico, continua a dettare la linea, incurante delle conseguenze di tali affermazioni sull’immaginario collettivo e sulla percezione del ruolo dell’Unione.

Un ruolo che, a questo punto, appare sempre più ambiguo e sempre meno legato alla salvaguardia delle tradizioni e delle peculiarità dei popoli che la compongono.

A nostro giudizio, il riferimento al Talmud è un’ulteriore, velata accusa all’UE di sostenere incondizionatamente le politiche imperialistiche israeliane a discapito dei diritti del popolo palestinese.

Un’accusa, peraltro, che si nutre di preconcetti antisemiti, insinuando una manipolazione occulta ebraica delle decisioni europee.

L’uso del termine “Talmud” non è innocente: evoca una lettura distorta e strumentale di testi religiosi, mirata ad alimentare stereotipi negativi e a delegittimare non solo Israele, ma l’intera comunità ebraica.

Si tratta di un linguaggio pericoloso, che rischia di fomentare l’odio e l’intolleranza, e che nulla ha a che vedere con una critica costruttiva e legittima delle politiche governative israeliane.

L’accusa di un riferimento al Talmud è pretestuosa e non correlata alla cultura ebraica, né ad altre tradizioni culturali.

Serve invece a denunciare il presunto sostegno incondizionato dell’UE alle politiche imperialistiche israeliane a discapito dei diritti palestinesi.

Il dibattito sulla questione palestinese, già di per sé complesso e delicato, non può e non deve essere inquinato da tali derive razziste e diffamatorie.

Un appello trasversale che ribadisce l’adesione totale dell’UE all’imperialismo dominante.

Di Admin

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