De Ficchy Giovanni


L’editorialista di punta di “Le Figaro” ha dedicato un elogiativo editoriale a Giorgia Meloni (pubblicato lunedì 21 aprile), consacrandola definitivamente.
Non si tratta solo di un attestato di stima, ma di un vero e proprio imprimatur da parte di una voce autorevole del conservatorismo francese, una sorta di incoronazione europea.
L’articolo, ricco di sfumature e analisi politica acuta, non si limita a riconoscere la resilienza e l’abilità tattica della premier italiana, ma ne sottolinea la capacità di interpretare le nuove dinamiche del panorama politico continentale.
Gli elogi di Bavarez sono tanto più importanti se si considera la severità con cui critica da anni la classe politica francese e Macron in particolare.
“La Francia è il Paese che ha la caratteristica di rendere impossibili le cose necessarie” scrisse nel suo libro “La Francia che cade”
Una sentenza dura, forse esagerata, ma che coglie un nervo scoperto della nazione. Un’abilità quasi artistica nel complicare i processi, nell’erigere barriere burocratiche invalicabili, nel soffocare l’iniziativa con una miriade di regolamenti.
Ed è proprio questa iper-regolamentazione, questa ossessione per il dettaglio, che paradossalmente mina la capacità della Francia di affrontare le sfide urgenti.
Si prenda ad esempio la transizione energetica, un imperativo assoluto. Discorsi altisonanti, promesse solenni, ma poi? Poi ci si arena in dibattiti interminabili sulla localizzazione di un parco eolico, bloccati da ricorsi di comitati di quartiere zelanti, spaventati da un cambiamento nel paesaggio.
Oppure si consideri la riforma del mercato del lavoro, necessaria per rilanciare la competitività.
Un’impresa titanica, ostacolata da sindacati potenti, arroccati a difesa di privilegi corporativi e incapaci di cogliere le esigenze di un’economia in rapida evoluzione.

E che dire della questione immigrazione, un tema che infiamma il dibattito pubblico?
Un bisogno impellente di gestire i flussi migratori in modo efficace e umano, ma al contempo una paralisi decisionale alimentata da ideologie contrastanti e paure irrazionali.
La Francia, insomma, sembra intrappolata in un circolo vizioso.
La sua storia gloriosa, il suo senso di superiorità culturale, si trasformano spesso in un ostacolo alla modernizzazione.
Un Paese che fatica a liberarsi del peso del passato, a guardare con coraggio al futuro.
Un gigante dai piedi d’argilla, incapace di tradurre le buone intenzioni in azioni concrete.
E così, mentre il mondo cambia a velocità vertiginosa, la Francia rischia di rimanere indietro, prigioniera delle sue stesse contraddizioni.

“Sta risollevando l’Italia. A differenza di Macron, non solo comunica ma agisce”
Si parla di “pragmatismo responsabile”, di “leadership solida in un momento di incertezza globale” e persino di “un’ancora di stabilità nel Mediterraneo”.
Parole che pesano come macigni, soprattutto se pronunciate da una tribuna tradizionalmente distante dalle posizioni che, fino a poco tempo fa, venivano bollate come “populiste” o “sovraniste”.
La Meloni, insomma, non è più semplicemente la leader di Fratelli d’Italia, ma una figura di riferimento per la destra europea, capace di dialogare con Bruxelles e di influenzare le agende comunitarie.
Resta da vedere come questa consacrazione si tradurrà in termini politici concreti, ma una cosa è certa: il vento sta cambiando e l’Italia, sotto la guida della Meloni, sembra intenzionata a cavalcarlo
Se prima l’establishment europeo guardava con sospetto al governo italiano, ora si percepisce una maggiore apertura, una disponibilità al dialogo forse dettata dalla necessità di un fronte compatto in tempi di crisi internazionali.
La Meloni ha dimostrato di saper moderare i toni e di muoversi con pragmatismo, pur mantenendo saldi i principi del suo programma.
L’attenzione si concentra ora sulle prossime mosse del governo, in particolare sulla gestione dei fondi del PNRR e sulla politica migratoria. Sfide cruciali che metteranno alla prova la solidità della leadership italiana e la sua capacità di influenzare le dinamiche europee.
L’Italia è chiamata a giocare un ruolo da protagonista e, almeno per ora, sembra avere le carte in regola per farlo
E i risultati, seppur ancora frammentari, iniziano a vedersi.
Certo, la strada è lunga e impervia, piena di ostacoli posti da Bruxelles e dalle resistenze interne. Ma la determinazione e la visione strategica del Presidente sono evidenti. Ha smesso di inseguire il consenso immediato, preferendo seminare per raccogliere i frutti tra qualche anno.
Lo si vede dalle riforme, a volte impopolari, ma necessarie per sbloccare il Paese.
Lo si percepisce dal ritrovato orgoglio nazionale, dalla voglia di competere di nuovo ad armi pari con le altre potenze europee. C’è una nuova energia, un fermento positivo che si respira nell’aria.
E questa, a mio parere, è la vera differenza: la capacità di infondere speranza e fiducia nel futuro. Un futuro che, grazie al suo operato, sembra meno incerto e più radioso.
Speriamo solo che questa ritrovata vitalità non venga soffocata dalle solite logiche di partito e dagli interessi di bottega.
L’Italia ha bisogno di continuità e di leadership forte per completare la sua rinascita.