I rapporti tra filosofia e teologia. Intervista di Tudor Petcu a Liliana Tami

Liliane Tami è una filosofa, bioeticista e scrittrice svizzera, nata nel 1991. Convertitasi dal paganesimo al cattolicesimo all’età di 31 anni, ha saputo coniugare il rigore del pensiero filosofico con la tenerezza della carità cristiana. La sua opera si radica nell’incontro personale con Cristo, che ha trasformato la sua ricerca razionale in una testimonianza vivente di fede, speranza e amore. Ha conseguito una specializzazione in bioetica con Maria Luisa di Pietro, vicepresidente del comitato bioetico nazionale, ed una terza laurea in gestione sanitaria arricchita da un’intervista a Monsignor Vincenzo Paglia, della Pontificia Accademia della Vita. E’ docente di accompagnamento nel fine vita e promuove una visione profondamente cristiana della medicina, in continuità con la grande tradizione della Chiesa.
1.) Il pragmatismo contemporaneo è una realtà più che visibile, per cui la dimensione metafisica sembra entrare sempre più in un cono d’ombra. In questo senso, pensa che possiamo parlare di un isolamento della filosofia e, in tal caso, come potrebbe essere reintegrata in un mondo di passioni ironiche, scientifiche e solipsistiche?
Paradossalmente, la dimensione religiosa-teologica oggigiorno è molto distante dalla cultura di massa, eppure le librerie sono piene di libri che trattano di spiritualità new-age, filosofia e morale. Prendiamo, ad esempio, i libri di Michela Murgia: i suoi testi, vendutissimi, sono dei veri e propri manifesti filosofici a favore dell’eutanasia e della gender theory. In modo simile ed opposto, in America, troviamo Elon Musk che promuove al massimo la filosofia transumanista. Il problema, quindi, non è la mancanza di filosofia, che ritroviamo sia a sinistra che a destra, bensì la mancanza di una visione cristocentrica che possa portare i popoli ad una coerenza dei valori fondati sulla fede. Quindi, la questione, non è tanto reintegrare la filosofia nella società – che già è presente-, bensì arricchirla con la religione cristiana che ha come perno l’amore. La filosofia, senza l’amore evangelico, può generare dei mostri terribili: nazional-socialismo, comunismo, utilitarismo, decostruttivismo post-moderno ecc. ne sono alcuni esempi. L’unico modo per superare la filosofia materialista-edonistica che sembra permeare la società, oggi, è veicolare messaggi costruttivi, colti e di spessore sia attraverso i mass-media che l’istruzione. La scuola e e il mondo cinematografico-televisivo hanno un ruolo molto importante nel veicolare messaggi morali/filosofici alle persone. Il Ministro dell’istruzione Valditara, ad esempio, sta facendo un lavoro ottimo per riportare lo studio dei classici e della Bibbia nelle scuole.
2.) È noto che il razionalismo filosofico costituisce parte integrante della teologia cattolica romana, soprattutto se consideriamo l’argomento ontologico sull’esistenza di Dio utilizzato da Sant’Anselmo di Canterbury o la transustanziazione definita da San Tommaso d’Aquino. In che misura l’umanesimo contemporaneo della Chiesa cattolica sarebbe capace di rinvigorire la vocazione filosofica della natura umana, nonostante la tecnologizzazione a cui stiamo assistendo?
Fede e ragione sono sempre state perfettamente allineate: già nei Vangeli Cristo propone dei ragionamenti filosofici perfettamente logici ed inattaccabili. Per mezzo di semplici parabole, Gesù ha espresso concetti filosofici importantissimi. Secondo me, quindi, Gesù Cristo può essere anche definito un un filosofo, un uomo innamorato della sapienza che conduceva i suoi interlocutori al ragionamento. L’enciclica Fides et Ratio (“Fede e ragione”), promulgata da san Giovanni Paolo II il 14 settembre 1998, è uno dei documenti magisteriali più significativi del suo pontificato. In essa il Papa riafferma con forza che fede e ragione non sono in conflitto, ma alleate naturali nella ricerca della verità.
La Scolastica medievale, con Sant’Anselmo e San Tommaso, è stata una delle forze trainanti della nascita e dello sviluppo delle università europee, contribuendo in modo decisivo anche all’evoluzione della scienza. Nata tra il IX e il XII secolo, essa si affermò come metodo di insegnamento e ricerca fondato sul dialogo tra fede e ragione, sulla chiarezza concettuale e sull’uso sistematico della logica aristotelica. Nel Proslogion, infatti, Sant’Anselmo ci insegna che “fides quaerens intellectum”, ossia che la fede ci aiuta a comprendere.
L’umanesimo cristiano contemporaneo deve continuare ad affermare che l’uomo è capace di verità, di bellezza e di trascendenza per mezzo dell’intelletto – e del cuore- anche in un mondo sempre più tecnologico. È qui che il pensiero cristiano ha una missione urgente: mostrare che l’uomo, pur nel progresso scientifico, è chiamato alla contemplazione, alla relazione con Dio e alla libertà responsabile. Il pontificato di Leone XIV, con la sua solida formazione intellettuale (in particolare la laurea in matematica) e la sua appartenenza agli agostiniani, può offrire un esempio vivente di questo equilibrio tra rigore razionale e profondità spirituale. È un umanesimo che non teme la scienza, ma la orienta; che non fugge il progresso, ma lo giudica con sapienza.
3.) L’intelligenza artificiale sembra essere il cuore del mondo civilizzato, in altre parole, l’organizzazione stessa della vita non potrà più essere concepita al di fuori di essa. Lo stesso Martin Heidegger afferma in “Essere e tempo” che la tecnica sostituirà l’umano, cosicché quest’ultimo abbandonerà per sempre l’orizzonte del Dasein. Se così fosse, come interpreterebbe nel paradigma etico il modo in cui l’intelligenza artificiale finisce per diventare il domicilio ontologico della natura umana?
Personalmente io non credo che la tecnica sostituirà l’umano, semplicemente trasformerà le sue abitudini. Nel Fedro, Platone riporta il famoso mito egizio di Theuth, in cui il dio Thot presenta la scrittura come invenzione utile, ma il re Tamus obietta che essa renderà gli uomini “smemorati”, perché, fidandosi della scrittura, non eserciteranno più la memoria e sembreranno sapienti senza esserlo davvero. Il progresso tecnologico, quindi, può essere sia negativo che positivo. Io, ad esempio, a volte per ottimizzare il tempo mi faccio aiutare da Chat GPT nella revisione dei testi. Anche San Paolo aveva un segretario, Tertio, che gli scriveva alcune lettere sotto dettatura, e anche il profeta Geremia si appoggiava al segretario Baruc per scrivere delle cose. Dopo tutto, quando si è di fretta, l’utilizzo di uno scriba, umano o tecnologico, può essere utile….
5.) Il personalismo fenomenologico ha rappresentato uno degli approcci filosofici che ha evidenziato il posizionamento responsabile, etico e affettivo verso l’altro. Non possiamo dimenticare le tesi di Émmanuel Lévinas, di Max Scheler o quelle di Edith Stein, per i quali la conoscenza di sé sarà possibile solo alla luce della scoperta dell’Altro. Crede che una simile prospettiva filosofica possa ancora trovare posto nel panorama delle preoccupazioni filosofiche contemporanee?
Questi tre autori, vedendo gli orrori del nazionalsocialismo, hanno compreso l’importanza di una filosofia fondata sull’amore come bene supremo. Scheler – il cui figlio è morto in un campo di sterminio- ha dedicato pagine profondissime al tema dell’ordo amoris, l’ordine dell’amore. Per lui, l’amore non è un semplice sentimento soggettivo, ma la facoltà che orienta la persona verso i valori più alti, permettendole di percepirli e incarnarli. L’ordine dell’amore è ciò che struttura la gerarchia interiore dell’anima: se disordinato, conduce alla distruzione; se armonico, eleva alla santità. Queste idee influenzarono profondamente Edith Stein, sua allieva e filosofa di rara profondità. Convertitasi al cattolicesimo e divenuta monaca carmelitana con il nome di Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein è oggi santa e compatrona d’Europa. I suoi scritti, come L’empatia e Essere finito ed essere eterno, sviluppano una visione dell’umano fondata sulla capacità di entrare in relazione autentica con l’altro, a partire da una profonda esperienza spirituale e affettiva. Anche lei ha conosciuto il martirio: fu deportata ad Auschwitz e uccisa dai nazisti, vittima di quella stessa logica persecutoria che René Girard ha smascherato nel cuore della storia. Scheler e Stein, con accenti diversi, ci insegnano che la filosofia non può ridursi a razionalità astratta: essa nasce dall’esperienza dell’amore e trova il suo compimento nella carità. In tempi di smarrimento e di nuove forme di esclusione, la loro testimonianza è una luce che indica la via di una verità incarnata, fatta di empatia, rispetto e dono di sé. Sopravvissuto alla Shoah, Lévinas ha posto al centro della sua filosofia l’esperienza del volto dell’altro, che per lui è il luogo originario dell’etica. Nel suo capolavoro Totalità e Infinito, egli scrive che il volto dell’altro “mi ordina: non uccidere”. Il volto disarma, interpella, impone una risposta: la relazione non è neutra, ma segnata da un asimmetrico dovere di cura e di giustizia. Oggigiorno, però il contesto storico è diverso ed il problema non è più l’avanzata della crudeltà nazista, ma è l’individualismo- E, anche in questo caso, l’unica cura possibile è la carità, che permette , nell’ordo amoris, di dare alle persone il giusto metro con cui costruire la propria scala di valori morali.
Questa prospettiva risuona potentemente con la rivelazione evangelica: riconoscere la dignità dell’altro, anche del nemico, è possibile solo quando l’amore illumina la coscienza.
6.) Giorgio Agamben e Zygmund Bauman si sono chiesti una volta cosa ci rimanesse dopo Auschwitz, cioè fino a che punto avremmo dato spazio all’etica in un mondo devastato dalle ambizioni di redenzione del postmoderno. D’altro canto, Vladimir Jankélévitch ha parlato della necessità di uscire dall’orizzonte del “non so cosa e quasi niente”, per tornare alle fonti della moralità elementare.
Da quanto detto sopra, ne consegue che sembriamo vivere in un’era dell’Essere che si sta allontanando sempre più dagli imperativi etici. C’è dunque bisogno di una nuova pedagogia socratico-kantiana a livello sociale, grazie alla quale l’uomo contemporaneo comprenderà sempre di più l’etica dell’oblio e della gratitudine?
Zygmunt Bauman, sociologo ebreo-polacco, ha invece mostrato in Modernità e Olocausto come Auschwitz non sia stato il frutto di un ritorno alla barbarie, ma un prodotto perverso della modernità stessa: efficienza, burocrazia, obbedienza sistemica hanno permesso l’annientamento industriale dell’altro. In questa diagnosi inquietante, Bauman invita la filosofia a tornare alla sua vocazione etica: riconoscere la fragilità dell’altro e l’urgenza della responsabilità. A parer mio, invece, il nazismo è stato possibile perchè si reggeva sui valori pagani , come l’eroismo bellico, l’onore e la forza, dell’antica Sparta e di Roma, due società guerriere e violente in cui l’amore non era considerato un bene. Il campo di concentramento, per Agamben, non è un’eccezione della modernità, ma il paradigma nascosto del potere biopolitico: luogo in cui la logica del capro espiatorio teorizzata da Girard è portata alle sue estreme conseguenze. Ebbene, in entrambi questi casi è di fondamentale importanza ritornare alla carità cristiana, ancor di più che all’imperativo categorico Kantiano. L’imperativo categorico Kantiano dell'” Agisci sempre come se ogni tua azione dovesse diventare una norma universalmente valida” può mutare da soggetto a soggetto, pertanto apre le porte al relativismo. L’amore insegnato da Cristo, assieme alle norme morali presenti nel Nuovo Testamento, permettono la costruzione di un piano valoriale sano e non assoggettabile dal relativismo. A parer mio, il male può essere causato principalmente da due cose: uno, da una visione filosofica errata in sè ( come appunto il paganesimo guerriero spartano o nazista) oppure da un inconsapevole relativismo che, nella sua debolezza, cessa di impegnarsi per fare del bene al prossimo.