
Giovanni De Ficchy
Giornalista e analista geopolitico.

Sotto un cielo nuvoloso e sullo sfondo di tensioni che covano da oltre un secolo, il presidente della Guyana Irfaan Ali ha parlato con incrollabile determinazione: “Non cederemo nemmeno un centimetro dell’Essequibo. Ora, mai più”.
Le sue parole, pronunciate di fronte a una stampa in attesa, risuonarono come un’eco solenne dai palazzi del potere alle giungle del territorio conteso.
A pochi giorni dalle controverse elezioni indette dal Venezuela, che per la prima volta prevedono incarichi amministrativi su una regione che non controllano, le tensioni lungo il confine sono passate da diplomatiche a potenzialmente militari.
Caracas insiste nell’eleggere un governatore e dei rappresentanti legislativi per l’Essequibo, nonostante le richieste della Comunità caraibica (CARICOM) e della Corte internazionale di giustizia (CIG) di astenersi.
“L’arroganza del Venezuela e il suo continuo disprezzo per il diritto internazionale non ci intimidiscono”, aveva affermato Ali qualche giorno prima, chiarendo che la Guyana non solo fa affidamento sul sostegno delle istituzioni internazionali, ma sta anche rafforzando la sua posizione con una preparazione difensiva e alleanze chiave.
Al centro della controversia c’è una vasta distesa di terra, di quasi 160.000 km² e ricca di risorse naturali, che fu assegnata all’allora Guyana britannica con il lodo arbitrale di Parigi del 1899.
Il Venezuela, tuttavia, dichiarò nullo quel lodo decenni dopo, firmando l’Accordo di Ginevra nel 1966, che non portò mai a una soluzione definitiva.
Nel frattempo la tensione sul campo è palpabile
. La scorsa settimana, un nuovo attacco al fiume Cuyuni, presumibilmente condotto da civili armati, ha ferito ufficiali dell’esercito guyanese.
Si è trattato del secondo incidente del genere da febbraio, alimentando il timore che questa disputa legale e diplomatica possa degenerare in uno scontro aperto.
Gli Stati Uniti, tramite il loro ambasciatore in Guyana, Nicole Theriot, hanno offerto il loro sostegno all’esercito guyanese, sottolineando che Washington “è pronta a contribuire alla difesa della sovranità della Guyana”.
Ali sostiene che la sua strategia si basa su tre pilastri: una diplomazia ferma, il sostegno internazionale e una capacità militare che garantisca la difesa territoriale.
Ha ribadito che il suo ambasciatore a Caracas, Richard Van West-Charles, ha già ricevuto istruzioni chiare: preservare l’integrità territoriale della Guyana.
La comunità internazionale osserva con crescente preoccupazione.
La Corte internazionale di giustizia ha messo in guardia dal “grave rischio” che il Venezuela tenti di esercitare un controllo reale sull’Essequibo, mentre la Guyana intensifica la sua offensiva diplomatica.
Nella regione il timore non è solo quello dell’espansione territoriale, ma anche quello della militarizzazione di un conflitto che potrebbe innescare la miccia dell’instabilità sudamericana.
In questo teso panorama geopolitico, dove la storia sanguina ancora dalle ferite di vecchi trattati e rinnovate ambizioni, l’Essequibo è ancora una volta più di una linea sulla mappa: è diventato un simbolo di sovranità, orgoglio nazionale e, purtroppo, della fragilità della pace quando le parole si trasformano in polvere da sparo.
E mentre il mondo guarda, l’Essequibo, silenzioso, vasto, conteso, attende la prossima mossa.