Quella di Attilio Manca è una storia che dovrebbe essere raccontata senza tregua.

Perché è la storia di un uomo perbene, di un medico capace, di un professionista stimato.

Ma è soprattutto la storia di un’ingiustizia, di un depistaggio, di una verità negata.

La storia di un uomo morto in circostanze misteriose, archiviato troppo frettolosamente come suicidio, ma che grida vendetta e reclama giustizia.

Una storia che si intreccia con la mafia, con i poteri occulti, con i segreti inconfessabili di un sistema marcio fino al midollo. La storia di Attilio Manca è uno squarcio di verità su un’Italia malata, che preferisce nascondere la polvere sotto il tappeto piuttosto che affrontare i suoi demoni.

È la storia di un medico di 34 anni, un urologo di fama nazionale, che nel novembre 2003 si ritrovò a compiere una scelta che cambiò per sempre la sua vita.

Una scelta che lo catapultò in un vortice di emozioni contrastanti, di dilemmi morali e di conseguenze inaspettate.

Si chiamava Attilio Manca, e fino a quel momento la sua esistenza era stata un susseguirsi di successi professionali, di riconoscimenti accademici e di una vita privata apparentemente serena.

Quando Cosa nostra gli chiese di operare alla prostata il superboss allora latitante Bernardo Provenzano, a Marsiglia, Manca si rifiutò categoricamente.

Attilio si trovò di fronte a un bivio: seguire il suo istinto, il suo giuramento di medico, oppure restare fedele alle regole, alla legge, alla sua posizione

La decisione che prese in quei pochi, interminabili minuti, lo avrebbe segnato per sempre, trasformandolo da stimato professionista a uomo braccato, costretto a fare i conti con la propria coscienza e con un passato che non gli avrebbe dato tregua.

Non voleva in alcun modo essere complice della mafia.

Solo pochi mesi dopo, il 12 febbraio 2004, vent’anni fa esatti, il suo corpo fu ritrovato nella sua casa di Viterbo con due buchi al braccio sinistro (strano per lui che era mancino), il volto tumefatto e nel sangue un mix di eroina, alcool e barbiturici, senza la minima traccia di impronte digitali sulla siringa.

Per quasi due decenni è stato derubricato come suicidio da overdose, nonostante cinque diversi collaboratori di giustizia abbiano parlato apertamente di messinscena, di omicidio, di regolamento di conti.

Almeno fino al giugno del 2022 quando è spuntata fuori un’intercettazione nella quale gli uomini di Provenzano pronunciano queste parole: “Bisogna fargli una doccia (al medico)”.

Tradotto: fatelo fuori.

Grazie anche a quell’intercettazione e a una serie infinita di testimonianze, opacità e contraddizioni, nel gennaio dell’anno scorso la Commissione parlamentare Antimafia ha per la prima volta riconosciuto, nero su bianco, che “quello di Attilio Manca è stato un omicidio di mafia”.

.E non un suicidio come frettolosamente archiviato in un primo momento. Attilio Manca, giovane urologo siciliano trovato morto nella sua casa di Viterbo nel 2004, vittima di un intricato caso che ha visto coinvolti boss mafiosi, prostitute e, forse, anche ambienti sanitari deviati. La verità, a distanza di anni, sembra finalmente emergere, squarciando il velo di omertà e depistaggi che ha avvolto la vicenda.

Un omicidio, quello di Manca, maturato probabilmente per via della sua competenza professionale: si sospetta che il medico abbia curato Bernardo Provenzano durante la sua latitanza, un intervento che avrebbe poi pagato con la vita per evitare che rivelasse il suo segreto.

Una storia di mafia, di potere e di morte, che continua a far discutere e a chiedere giustizia.

Ora, assieme alla verità, arrivi anche la (tardiva) giustizia.

Lo dobbiamo allo straordinario coraggio di questo medico, alla sua famiglia, a chi non ha mai smesso di crederci.

I suoi colleghi dicono di lui ; “Era un giovane di straordinarie capacità professionali e di grande umanità, un collega serio e disponibile. A distanza di tanti anni non posso dimenticarlo e spero che finalmente gli venga resa giustizia “

Di Admin

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