De Ficchy Giovanni

Il nostro mondo sta cambiando a un ritmo vertiginoso.
Lo scorso fine settimana, la crisi nucleare tra Iran, Israele e Stati Uniti è precipitata: dopo una pausa di due settimane dedicata a una soluzione diplomatica, gli Stati Uniti hanno lanciato un attacchi a sorpresa contro gli impianti iraniani di arricchimento dell’uranio, scatenando reazioni contrastanti.
Il raid, nome in codice “Operazione Davide”, ha visto l’impiego massiccio di missili da crociera Tomahawk e bombardieri stealth B-2 Spirit, con l’obiettivo dichiarato di “neutralizzare la minaccia nucleare iraniana”.
Teheran ha immediatamente denunciato l’attacco come un atto di guerra e ha promesso una “risposta devastante”.
Le conseguenze sono state immediate e gravi.
Le quotazioni del petrolio sono schizzate alle stelle, superando i 150 dollari al barile.
Le borse mondiali hanno subito pesanti perdite, con il panico che si è diffuso tra gli investitori.
Milioni di persone sono scese in piazza in tutto il mondo per protestare contro l’escalation del conflitto.
Nel frattempo, Israele ha dichiarato lo stato di massima allerta e ha schierato le proprie forze armate lungo il confine con il Libano e la Siria, temendo una ritorsione da parte di Hezbollah e di altri gruppi filo-iraniani.
Gli Stati Uniti hanno rafforzato la propria presenza militare nel Golfo Persico, inviando portaerei, navi da guerra e migliaia di soldati.
La comunità internazionale è divisa.
La Russia e la Cina hanno condannato fermamente l’attacco americano, accusando Washington di aver destabilizzato la regione e di aver violato il diritto internazionale.
L’Unione Europea ha espresso “profonda preoccupazione” e ha invitato tutte le parti alla moderazione e al dialogo.
Il futuro è incerto. La possibilità di una guerra regionale o addirittura globale è concreta.
La diplomazia sembra essere fallita.
Il mondo è sull’orlo del precipizio.
Non ho idea di cosa accadrà nei prossimi giorni, ma stiamo già notando diversi aspetti duraturi di questo evento tumultuoso:
Niente re!
La coraggiosa decisione del presidente di usare la forza militare statunitense per distruggere il programma nucleare iraniano senza il consenso del Congresso potrebbe sembrare un bersaglio facile per i manifestanti di NO KINGS, ma offro una prospettiva alternativa.
Hanno ragione.
Gli elettori statunitensi dello scorso novembre non cercavano un re.
Volevano un leader, un presidente energico e incline all’azione, che agisse con decisione anche di fronte a forti venti politici contrari.
È esattamente quello che hanno ottenuto, come dimostra ampiamente il suo attacco di sabato sera.
La leadership può assumere molte forme, e lo stile di leadership abrasivo del presidente Usa, risulta sgradevole a molti.
Ma ciò che conta è l’azione, non la forma.
Il presidente ha preso una decisione sensata e tempestiva, ma non priva di rischi.

A mio avviso, è stato negligente nel non spiegare al pubblico, nel suo discorso di sabato sera, perché le sue azioni fossero necessarie e urgenti, e perché fosse opportuno procedere senza la previa approvazione del Congresso.
Ma questa è una questione di comunicazione politica, che non ha nulla a che vedere con la correttezza o meno della sua decisione in merito all’azione militare.
La minaccia di un Iran dotato di armi nucleari
Non sappiamo quanto l’Iran fosse vicino alla produzione di un’arma nucleare.
Secondo le valutazioni dell’intelligence statunitense e dell’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), era ben lontano dal raggiungere i livelli di arricchimento dell’uranio necessari; tuttavia, anche da quel punto in poi, costruire una testata nucleare pienamente funzionante e pronta all’uso non è cosa da poco.
Ma non c’è alcun dubbio sulla direzione e l’inevitabile esito dell’elaborato progetto nucleare del regime.
Chiaramente, i mullah intendevano produrre una o più armi nucleari con sistemi missilistici in grado di lanciarle verso obiettivi vicini o lontani.
E sulla base della brutta storia di terrorismo del regime, non c’è dubbio che intendessero schierare quelle armi nucleari, prendendo di mira Israele e forse gli Stati Uniti.

Il fanatico regime iraniano prende sul serio la “morte all’America”.
Un Iran dotato di armi nucleari rappresentava una minaccia letale sia per la stabilità mondiale che per la sicurezza degli Stati Uniti, una minaccia che doveva essere neutralizzata.
Era questa minaccia così urgente da dover essere neutralizzata sabato scorso?
Forse no, non lo sapremo mai, ma andava fatto, e prima possibile.
Deterrenza
Il primo obiettivo dell’intero apparato difensivo del Paese Nord Americano non è combattere le guerre; è prevenirle.
Lo slogan dell’amministrazione per questo principio è “pace attraverso la forza”.
Siamo tutti d’accordo su questo, ma in un certo senso questa semplice massima di tre parole non è sufficiente.
La nostra superiore forza militare ha successo solo se gli avversari degli Usa credono che siamo disposti a usarla se necessario.
Il mondo li sta osservando.
La tempestiva azione della nazione americana per affrontare la minaccia iraniana, il potente colpo inferto al nemico e la sua impeccabile esecuzione hanno parlato a lungo, e sono stati sicuramente recepiti forte e chiaro dai potenziali avversari in tutto il mondo.
Allo stesso modo, indugi infiniti, negoziati inconcludenti, linee rosse prive di senso o azioni militari mal eseguite ( il disastroso ritiro di Joe Biden dall’Afghanistan ne è un esempio lampante) avrebbero trasmesso esattamente il messaggio opposto.
Sebbene puramente secondario rispetto alla necessità di affrontare la minaccia iraniana, il messaggio implicito dell’azione statunitense della scorsa settimana darà i suoi frutti negli scontri con potenziali aggressori negli anni a venire.
Il quadro molto più ampio
Il deciso tentativo di sabotare le ambizioni nucleari dell’Iran dovrebbe servire da duro monito del pericolo esistenziale di un mondo pieno di armi di distruzione di massa in grado di annientare la vita su questo pianeta più e più volte.
La settimana scorsa ha spostato montagne – letteralmente – per impedire a una nazione di acquisire una singola arma nucleare (o forse più di una).
La motivazione era del tutto sensata: quella nazione è l’Iran, governato da un famigerato regime terroristico, evidentemente disposto a schierare armi nucleari contro gli Stati Uniti o i gli alleati.
Ma allo stesso tempo, teniamo presente la realtà più ampia: oggi nel mondo esistono circa 12.500 testate nucleari, la maggior parte delle quali molto più potenti delle due primitive che paralizzarono il Giappone nel 1945.
L’impiego di una qualsiasi di queste testate, da parte di chiunque e per qualsiasi motivo, sarebbe catastrofico.
La maggior parte delle testate nucleari è posseduta e controllata da sole cinque nazioni (Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito e Francia), le quali, insieme ad altre 186 nazioni, hanno firmato il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), impegnandosi così a mantenere il proprio arsenale nucleare esclusivamente a fini difensivi e a ridurre gradualmente le proprie scorte nucleari.
Ma quanto sono affidabili questi cinque?
Il TNP è un accordo di governance nucleare globale nato dall’idea, ormai bizzarra, che se i leader mondiali responsabili accettassero semplicemente di non abusare dei loro “giochi nucleari” e di sottoporsi a un minimo di supervisione internazionale, saremmo tutti al sicuro. Ci crediamo ancora?
Inoltre, che dire delle altre quattro nazioni (Israele, Corea del Nord, Pakistan e India) che possiedono armi nucleari ma si rifiutano persino di aderire al TNP?
E, cosa ancora più importante, quante nazioni canaglia o altre entità (sette simili all’ISIS, ad esempio) potrebbero essere interessate ad acquistare o rubare le rimanenze di armi nucleari e usarle per tenere in ostaggio altri (noi, ad esempio)?
E, come dimostra l’iniziativa nucleare iraniana, le nazioni che scelgono di sfruttare la tecnologia esistente relativamente accessibile possono costruire le proprie armi nucleari.
In breve, il TNP, in vigore da 60 anni, offre una sicurezza sempre minore contro l’uso improprio delle armi nucleari e, pertanto, affidarsi a esso è sempre più inutile.
Non c’è nulla di ipotetico nella vulnerabilità collettiva al successo scientifico e ingegneristico dell’umanità nello scatenare l’enorme energia dell’atomo.
Quel genio è uscito dalla bottiglia, non vi tornerà mai più, e dobbiamo trovare un modo per impedirgli di distruggere la civiltà.
La mia speranza è che l’ attuale monumentale sforzo per tenere il genio dell’Iran nella scatola serva da urgente stimolo alla più grande nazione al mondo a guidare la strada nello sforzo globale per riprendere il controllo delle armi nucleari di distruzione di massa.