Giovanni De Ficchy

Esperto di Economia

Oggi affronto un argomento spinoso, le privatizzazioni, consapevole che in dieci minuti potrò solo toccare alcuni punti chiave.

So che molti italiani sono contrari alle privatizzazioni e favorevoli alle statalizzazioni.

Lo Stato è, per natura, un imprenditore inefficiente, questo mi sembra indiscutibile.

La liberalizzazione delle professioni, come quella degli avvocati e dei notai, può portare a una maggiore offerta di servizi e a una riduzione dei prezzi, ma richiede un’attenta valutazione degli impatti sulla qualità.

La separazione tra la proprietà delle infrastrutture e la gestione dei servizi, insieme alla regolamentazione indipendente dei servizi a rete, può favorire la concorrenza e gli investimenti.

È importante quindi distinguere tra “privatizzazione” e “liberalizzazione” di un’azienda o servizio, termini spesso usati impropriamente come sinonimi nel dibattito pubblico.

La “privatizzazione” implica il trasferimento della proprietà di un’azienda dallo Stato a privati, mentre la “liberalizzazione” mira ad aumentare la concorrenza in situazioni di monopolio.

Questi processi sono interconnessi, poiché le rendite monopolistiche possono derivare da imprese pubbliche che forniscono servizi o producono beni.

In Italia, l’eccessivo intervento statale nell’economia frena la crescita, deprime i redditi e aggrava la povertà.

Spesso aziende di valore come Eni e Autogrill vengono svendute, evidenziando una gestione inefficiente del patrimonio pubblico.

Fatto è che l’incidenza della spesa pubblica italiana rispetto al PIL si mantenne al di sopra di quella degli altri Paesi europei (esclusa la Germania) fin dalla metà degli anni Sessanta del secolo XIX.

L’incremento dell’occupazione, trend pluriennale influenzato dalla crescita globale, non compensa.

La crescita si genera con la libertà economica, non con spesa pubblica, PNRR, bonus o altri interventi statali inefficaci.

L’iper-interventismo, soprattutto se privo di strategia, è dannoso.

In Italia, il dibattito sulle liberalizzazioni è spesso legato a questioni di efficienza economica, concorrenza e riduzione dei costi per i consumatori.

Pur sostenendo le liberalizzazioni, il conservatorismo liberale invita a considerare attentamente il contesto italiano e le sue implicazioni sociali.

Globalizzazione e crescente competizione hanno spinto alcuni settori industriali a rinnovarsi, investire in innovazione e aumentare l’efficienza per competere con partner commerciali e economie emergenti.

Tuttavia, accanto a chi si è ristrutturato, ampie aree sono rimaste ancorate a modelli obsoleti.

La seconda sfida è stata l’adozione di un nuovo paradigma tecnologico incentrato sulle tecnologie digitali e della comunicazione, che ha profondamente trasformato i modelli di organizzazione della produzione e dei servizi a livello sistemico e aziendale.

Questo ha richiesto un notevole sforzo di adattamento da parte delle imprese, che si sono trovate a dover rivedere le proprie strategie, i processi operativi e le competenze del personale.

L’integrazione di soluzioni cloud, l’analisi dei big data e l’implementazione dell’intelligenza artificiale sono diventate elementi cruciali per rimanere competitivi in un mercato sempre più dinamico e globalizzato.

Tuttavia, questa transizione non è stata priva di ostacoli, tra cui la necessità di investimenti significativi in infrastrutture tecnologiche, la carenza di profili professionali specializzati e le preoccupazioni legate alla sicurezza dei dati.

L’Italia necessita comunque e rapidamente di un cambio di paradigma: meno Stato, più mercato.

Deregolamentazione, riduzione della burocrazia e una tassazione più equa e contenuta sono le leve per attrarre investimenti, stimolare l’iniziativa privata e liberare le energie imprenditoriali.

Solo così si può creare un ambiente favorevole alla creazione di ricchezza e posti di lavoro stabili e ben retribuiti.

Altrimenti, si continuerà a navigare a vista, illudendosi di risolvere i problemi con palliativi che, nel lungo periodo, non fanno altro che aggravare la situazione.

È necessario un coraggio politico che vada oltre le logiche di consenso immediato, per abbracciare riforme strutturali che guardino al futuro del Paese.

Un futuro in cui il merito sia premiato, l’innovazione incentivata e la competizione stimolata.

Basta con la cultura del sussidio e dell’assistenzialismo, che mortifica l’individuo e frena la crescita.

È necessario invece promuovere una cultura del lavoro e dell’impegno, che valorizzi le capacità di ciascuno e crei opportunità di sviluppo. Bisogna incentivare l’iniziativa privata e la creazione di impresa, semplificare la burocrazia e ridurre la pressione fiscale, per liberare le energie del Paese e favorire la crescita economica.

Solo così si potrà creare un futuro di prosperità e benessere per tutti.

Serve invece una visione strategica che punti sulla formazione, la ricerca e lo sviluppo, per creare un’economia dinamica e resiliente, capace di affrontare le sfide globali.

Solo così si potrà garantire un futuro di prosperità e benessere per tutti gli italiani.

È tempo di scelte coraggiose, di investimenti mirati, di una semplificazione burocratica che liberi le energie imprenditoriali.

Dobbiamo smetterla di inseguire le emergenze e iniziare a costruire un futuro solido e duraturo. Un futuro in cui i giovani abbiano le opportunità per realizzare il loro potenziale, in cui gli anziani siano tutelati e valorizzati, in cui il lavoro sia dignitoso e ben retribuito.

Un futuro in cui l’Italia torni ad essere protagonista in Europa e nel mondo, un faro di civiltà e di progresso.

Non possiamo più permetterci di restare inerti, di rimandare le decisioni, di accontentarci dello status quo. Il futuro è adesso, e dipende da noi.

In sintesi, il Liberismo può essere definito come;

“sistema imperniato sulla libertà del mercato, in cui lo Stato si limita a garantire con norme giuridiche la libertà economica e a provvedere soltanto ai bisogni della collettività che non possono essere soddisfatti per iniziativa dei singoli ”

Crescita economica: Il liberismo, con la riduzione delle tasse e della burocrazia, dovrebbe stimolare la concorrenza e gli investimenti, portando a una maggiore crescita economica.

Efficienza: La deregolamentazione e la privatizzazione dovrebbero rendere le aziende più efficienti e competitive, riducendo gli sprechi e migliorando la qualità dei servizi.

Libertà individuale: Il liberismo promuove la libertà di scelta e l’iniziativa individuale, permettendo ai cittadini di decidere come gestire le proprie risorse e attività.

Ad esempio i porti, ma anche il trasporto pubblico locale e la gestione dei rifiuti.

Ammettiamolo, lo Stato ha poche risorse.

Una gestione privata aumenterebbe l’efficienza, attirerebbe investitori e ridurrebbe la spesa pubblica.

Di Admin

Scopri di più da Giornalesera.com

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continua a leggere