L’incontro di ieri con la NATO in Europa smentisce le affrettate analisi sull’operato di Donald Trump dopo il bombardamento in Iran, rivelando una realtà più complessa.

Nonostante sia stato etichettato come “istrionico”, Trump ha dimostrato un pragmatismo non convenzionale evitando una guerra aperta con l’Iran e perseguendo una strategia più sottile.

In particolare, la sua presidenza ha mirato a riequilibrare le relazioni con la Russia, isolando progressivamente Zelensky e prendendo le distanze dalla narrativa bellicosa prevalente.

Questa mossa strategica, pur controversa, si inserisce in un disegno più ampio volto a disimpegnare gli Stati Uniti da conflitti percepiti come inutili e costosi.

La sua ambivalenza nei confronti della NATO, spesso bollata come “obsoleta”, rifletteva una visione del mondo in cui gli alleati europei dovevano assumersi maggiori responsabilità per la propria sicurezza, liberando risorse americane per affrontare sfide interne e competere con la Cina.

In questo senso, Trump ha agito come un destabilizzatore calcolato, rompendo con i codici della diplomazia tradizionale e imponendo una “realpolitik” spietata, incurante delle conseguenze a breve termine sul piano internazionale.

La sua “America First”, spesso fraintesa come un isolazionismo miope, rappresentava piuttosto un tentativo di ridefinire gli interessi nazionali americani in un contesto globale in rapido cambiamento.

Questo approccio, unito alla fedeltà della base “MAGA”, sta producendo risultati concreti senza pericolose escalation.

È fondamentale valutare i fatti con lucidità, al di là di ansie e pregiudizi ideologici.

Finora, l’azione del Presidente Trump sta avendo esiti positivi sia in politica estera sia nel consolidamento di una nuova visione americana. Le critiche sistematiche, anche quando agisce per il bene del paese, rivelano un’agenda politica piuttosto che un interesse per la verità. Continuiamo a sostenere con ottimismo un leader che, al di là delle polemiche, lavora per un’America più forte e pragmatica.

Il suo approccio diretto e la determinazione nel rinegoziare accordi commerciali obsoleti stanno portando a risultati tangibili, rafforzando l’economia nazionale e creando nuove opportunità di lavoro per gli americani.

C’è molta ipocrisia nel mondo, e lui sa parlare chiaro al momento giusto.

È un abile negoziatore e diplomatico, ma guai a farlo arrabbiare: rivela la verità senza mezzi termini.

La sua politica di “America First” non è isolazionismo, ma piuttosto un ritorno al pragmatismo e alla difesa degli interessi nazionali, un principio sacrosanto che dovrebbe guidare ogni leader politico.

Certo, il percorso non è privo di ostacoli e le resistenze sono forti, ma la sua visione chiara e il suo coraggio nel perseguirla sono un faro di speranza per un futuro più prospero e sicuro per l’America.

Di Admin

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