
Quanto viene influenzato il pubblico dei media italiani?
Ieri al TG5 delle 13 hanno dato la notizia che i russi starebbero avanzando a Sumy.
In linea con lo scontato Fatto Quotidiano di Travaglio.
Secondo Euronews e Il Messaggero invece a Sumy i russi si sarebbero impantanati.
Sono alcuni casi di pluralismo dei nostri media, ma la verità qual è?
I fatti quali sono?
Contrariamente a quanto afferma Travaglio, i fatti non sono una questione di pluralismo o opinioni.
A quanto ci è dato sapere, osservando la stampa internazionale, in estrema sintesi sappiamo che i russi sono avanzati in pochi villaggi privi di valenza strategica.
Tuttavia, la propaganda di guerra da ambo le parti tende a esagerare i successi e minimizzare le perdite, rendendo difficile una valutazione oggettiva della situazione sul campo.
Le fonti occidentali, spesso citando intelligence anonime, descrivono un conflitto logorante, con piccole conquiste territoriali ottenute a caro prezzo da entrambe le fazioni.
Resta inteso che la vera portata delle operazioni militari e il reale controllo del territorio sono difficili da accertare con precisione, data la natura opaca della comunicazione in tempo di guerra
E che si sono poi impantanati, massacrati dagli ucraini anche tramite droni, perdendo alcune posizioni conquistate in precedenza, non tutte. Insomma, la macchina bellica russa resiste ma non sfonda, e tenere tali ritmi alla lunga gli sarà impossibile.
I sondaggi Ipsos di qualche tempo fa ci dicono che in tre anni l’approccio degli italiani alla guerra è cambiato, ma in senso negativo per la parte ucraina.
Per esempio, se da un lato la percentuale di chi manifesta aperto supporto ai russi è rimasta abbastanza invariata, quella che esprime supporto agli ucraini si è visibilmente ridotta: dal 57 al 32 per cento.
Più o meno in linea con gli “equidistanti”.
La spiegazione più semplicistica che a tutti ci viene in mente è che una parte del pubblico (moderato?) si sia stancato della guerra.
Eppure la forbice della sfiducia appare alquanto ampia per liquidare solamente in questi termini la questione.
Quanto può aver influito la costanza di tre anni di martellante propaganda pro-Russia sui media italiani?
Financo narrazioni, come al TG5, non apertamente pro-Russia, ma tendenti a presentare Mosca come “un’inesauribile macchina da guerra proiettata alla vittoria”.
Non lo sappiamo con certezza, e magari in una parte del pubblico di un paese ad alto tasso di analfabetismo funzionale (e non mi riferisco a chi ha già posizioni marcatamente polarizzate), sono passati messaggi della propaganda russa.
È un’ipotesi da non scartare a priori, purtroppo.
La disinformazione trova terreno fertile dove la capacità di analisi critica è debole.
Perciò, coltivare il pensiero critico e la capacità di discernere tra fonti affidabili e quelle manipolatorie è fondamentale.
L’alfabetizzazione mediatica, l’educazione civica e l’accesso a informazioni plurali e verificate sono gli strumenti necessari per arginare la diffusione di notizie false e tendenziose.
.Un approccio integrato che coinvolga scuole, media e istituzioni è fondamentale per promuovere una cultura della responsabilità e del pensiero critico.
Iniziative di fact-checking e verifica delle fonti, supportate da piattaforme digitali accessibili e trasparenti, possono contribuire a smascherare le narrazioni ingannevoli e a contrastare la polarizzazione del dibattito pubblico.
È inoltre essenziale promuovere un giornalismo di qualità, che rispetti i principi deontologici e offra un’informazione accurata e imparziale, in grado di orientare i cittadini verso scelte consapevoli e responsabili.
Una società informata e consapevole è una società più resistente alla disinformazione e, di conseguenza, più libera.
E in un’epoca in cui le fonti si moltiplicano esponenzialmente, districarsi tra verità e menzogna diventa sempre più arduo.
Il problema è che poi certe narrazioni, una volta radicate, sono difficili da sradicare, anche di fronte all’evidenza dei fatti.
Anche in persone che disprezzano Putin, ma che si sono a posteriori fatte convincere dal fatto che Kyiv non sarebbe “abbastanza interessata alla pace”.

Chi lo pensa?
Riscritto per lo spettatore occasionale che si informa su social e TV, non sulla carta stampata.
Media che gli capitano a tiro.
E vede, non Orsini, ma il Canfora di turno, il Barbero, il Cardini, il Montanari e tanti altri titolati, coadiuvati da giornalisti-militanti compiacenti (altra anomalia italiana), che espongono precisi contenuti tendenti a squalificare la linea ucraina.

.Senza dimenticare quella pletora di opinionisti da strapazzo, arruolati all’uopo per confondere le acque e instillare dubbi serpeggianti nell’opinione pubblica.
Un’orchestra ben accordata, diretta da un invisibile burattinaio, che soffia sul fuoco della disinformazione e alimenta la narrazione putiniana.
E il bello è che questi “intellettuali”, pavoniandosi con la loro spocchia accademica, si ergono a paladini della verità, dispensando lezioni di geopolitica con la stessa disinvoltura con cui si servirebbero un aperitivo.
Ma la verità, quella vera, è che sono solo dei megafoni del Cremlino, utili idioti al servizio di un regime autoritario.
Uno spettatore senza interesse per la geopolitica e la Russia potrebbe aver pensato: “Se lo affermano esperti del genere, sarà vero”.