De Ficchy Giovanni

Il presidente Donald Trump non negozia: impone.
Questa, almeno, è la percezione lasciata dal suo stile distintivo durante i suoi anni alla Casa Bianca, dove ha ridefinito il concetto tradizionale di negoziazione.
Oggi, nella sua nuova amministrazione, invece di cercare punti di accordo, Trump ha preferito la strategia degli ultimatum, delle pressioni estreme e delle minacce dirette per raggiungere i suoi obiettivi politici ed economici.
La sua logica non si basa sul compromesso reciproco, ma sul predominio sull’altro. Per dirla con le sue stesse parole: “Non sono loro a stabilire l’accordo. Sono io a stabilirlo”.
Questo approccio, più vicino alla contrattazione ad alto rischio che alla diplomazia convenzionale, è stato applicato da Trump su tutti i fronti: politica monetaria, commercio internazionale e, più recentemente, istruzione superiore.
Per i suoi sostenitori, si tratta di una necessaria dimostrazione di forza contro un sistema “corrotto” e un’élite liberale radicata. Per i suoi critici, è un segnale allarmante di una tendenza autoritaria che mina le istituzioni indipendenti e minaccia i principi democratici fondamentali.
Per i suoi detrattori, il suo stile non è una strategia negoziale, ma una forma di ricatto sistematico che mette a repentaglio i valori democratici e la stabilità istituzionale.
La politica commerciale di Trump è stata tanto imprevedibile quanto aggressiva.
Il suo ricorso a dazi punitivi contro alleati e avversari, dall’Unione Europea al Canada e alla Corea del Sud, ha generato incertezza globale, danneggiato le relazioni diplomatiche e messo in discussione il valore stesso della firma di accordi con gli Stati Uniti.
L’esempio più eclatante è stato il suo avvertimento al Brasile: avrebbe imposto una tariffa del 50% se non avesse bloccato il processo contro Jair Bolsonaro.
Questo dimostra quanto Trump abbia sfruttato la politica economica come strumento di pressione politica e personale.
La sua visione di raggiungere “90 accordi in 90 giorni” dopo l’imposizione di tariffe doganali su larga scala si è rapidamente dissolta in un mare di minacce e battute d’arresto.
E sebbene alcuni paesi abbiano accettato di negoziare, esperti come Inu Manak avvertono che questa strategia erode la fiducia internazionale e il prestigio commerciale degli Stati Uniti.
In breve, Trump non cerca accordi: esige la resa.
E se negoziare è, come disse una volta il filosofo, l’arte di cedere per vincere, Trump sembra determinato a dimostrare che il suo unico obiettivo è che vinca una sola persona: se stesso.
Il Presidente Donald Trump non è un protezionista ideologico, questo lo può credere solo qualche babbeo, ma utilizza i dazi come leva negoziale per ottenere concessioni dai suoi partner commerciali.
I dazi, uniti alla posizione di forza degli Stati Uniti, diventano uno strumento per costringere i paesi a rivedere e rinegoziare gli accordi commerciali, in modo da raggiungere intese più favorevoli per gli Stati Uniti.
L’obiettivo non è quello di creare un isolamento commerciale, quanto quello di aprire la porta a veri e propri accordi di libero scambio, che eliminino le barriere tariffarie e non tariffarie in modo equilibrato per tutte le parti coinvolte.
Meloni aveva capito prima degli altri quanto fosse alta la posta in gioco: evitare uno scontro frontale tra UE e USA e aprire la strada a un accordo commerciale equilibrato.
Ha costruito un rapporto privilegiato con il Presidente americano, ha riconquistato credibilità a livello internazionale e ha tracciato una via alternativa all’esitare degli europei.
Basta subire la burocrazia comunitaria.
Dal 17 Aprile, i negoziatori europei, non hanno raggiunto nessun risultato, solamente quello di far perdere la poca pazienza di cui è dotato, il Presidente statunitense.
L’Italia deve prendere in mano il proprio destino e trattare direttamente con Washington.
Basta subire , Giorgia deve sentirsi pienamente legittimata a trattare in autonomia con Trump le tariffe sulle merci italiane.
Oltre agli indubbi benefici per il Made in Italy (non è da escludere che all’Italia Trump conceda addirittura un regime di libero scambio), una negoziazione bilaterale Roma-Washington eliminerebbe ogni alibi ai globalisti: il punto vero è che loro non vogliono trattare sui dazi, perché sanno che sono lo strumento per mettere fine al loro modello.
