De Ficchy Giovanni

Negli ultimi sette giorni, la linea del fronte è rimasta pressoché immobile.
Questo non è un episodio raro, ma la normalità della guerra di logoramento.
A nord, verso Kupiansk, i russi sono stati respinti leggermente; a sud, presso Pokrovsk, nessun avanzamento significativo.
L’unico “bottino” di Mosca resta qualche campo coltivato, terreno che cambia padrone più per saturazione di artiglieria che per manovra strategica.
agosto 23
La mappa di DeepState, aggiornata al 30-31 agosto, conferma la natura statica del conflitto: scaramucce locali, linee che oscillano di poche centinaia di metri, città e nodi logistici intatti.
Tutto questo stride con le mappe propagandistiche russe, che colorano di rosso intere “zone grigie” per fabbricare l’illusione di avanzate su larga scala.
La guerra non finisce domani, ma la traiettoria mostra chiaramente chi sta spendendo carburante senza comprare futuro..
Stallo militare e logoramento
Il problema per Mosca non è solo l’assenza di vittorie decisive, ma il costo crescente della loro stessa inerzia.
Le perdite giornaliere si aggirano attorno ai 1.200 soldati, a cui si sommano mezzi corazzati e artiglierie bruciate in tattiche ripetitive: droni d’assalto, gruppi di ricognizione, ondate di fanteria mal addestrata.
Questo consumo, privo di guadagni operativi reali, genera un logoramento che scava lentamente nella capacità complessiva della macchina bellica.
A questo si aggiunge l’impatto crescente degli Strike ucraini con droni a lungo raggio, capaci di arrivare ben oltre il fronte e colpire raffinerie, depositi e snodi ferroviari.
Solo ad agosto, secondo OSINT e Reuters, 10-13 raffinerie sono state messe fuori uso, con circa il 17% della capacità di raffinazione nazionale temporaneamente azzerata.
Il surplus che non basta
La Russia è tradizionalmente un esportatore netto di diesel: produce circa 85 milioni di tonnellate l’anno, oltre il doppio del fabbisogno interno, con il 56% destinato all’export.
Questo surplus è il cuscinetto che tiene in moto esercito ed economia.
Tuttavia, se gli attacchi ucraini continueranno al ritmo attuale, quel margine potrebbe ridursi del 20-30% entro fine 2025, con le prime crepe già visibili: scarsità di benzina in Crimea, aumenti di prezzo nell’Estremo Oriente russo, importazioni forzate dalla Bielorussia.
Il risultato è paradossale: Mosca ha ancora carburante da vendere, ma non riesce più a garantirlo in modo stabile alle proprie stesse forze armate. Un motore che tossisce, non per mancanza di benzina al serbatoio, ma per tubi intasati e perdite diffuse.
Il costo economico e sociale
Gli effetti non si fermano alla logistica militare. Le stime parlano di 74 miliardi di dollari di danni solo per gli Strike alle raffinerie nell’agosto 2025, una cifra che si somma a un deficit di bilancio già gonfiato a 3,5 trilioni di rubli nel 2024.
L’inflazione dei carburanti (+47-55% dall’inizio dell’anno) spinge verso l’alto i costi di trasporto e dei beni di prima necessità, mentre la spesa militare divora risorse che altrimenti avrebbero sostenuto infrastrutture civili.
È qui che l’immagine del “motore ingolfato” diventa perfetta: il combustibile c’è, ma brucia male, fa fumo e consuma più olio del dovuto.
Ogni raffineria colpita è una ferita che guarisce lentamente, perché la Russia non ha accesso a tecnologie occidentali: le riparazioni richiedono 4-8 settimane e sono spesso solo rattoppi.
Implicazioni strategiche
Il logoramento sistemico ha tre piani:
Militare: entro il primo trimestre del 2026, carenze di diesel e di pezzi di ricambio potrebbero rallentare le offensive, come quella in corso su Pokrovsk, trasformandole in assalti simbolici più che in reali operazioni di sfondamento.
Economico: la dipendenza fiscale dal petrolio e dai derivati (25% delle entrate statali) rende la Russia vulnerabile a ogni calo di export.
Se le entrate collassano, anche il budget di guerra vacilla.
Politico-strategico: gli attacchi ucraini alle raffinerie funzionano come “sanzioni dirette”, bypassando la diplomazia e colpendo al cuore l’autonomia energetica di Mosca.
Con i negoziati in vista — come un possibile summit Trump-Putin nel 2026 — la leva di Kyiv cresce, purché sostenuta da aiuti occidentali. Conclusione
Al 31 agosto 2025 la fotografia è questa: la Russia combatte ancora, ma la sua macchina appare come un motore ingolfato.
Non è fermo, ma gira con colpi irregolari, sprechi e rumori di ferraglia.
Il surplus di carburante tiene il sistema in vita, ma ogni giorno i tubi si intasano un po’ di più.
Se gli attacchi ucraini continueranno e le sanzioni europee si rafforzeranno (il 18° pacchetto è atteso nel 2026), la finestra tra l’inverno 2025 e la primavera 2026 potrebbe segnare la soglia critica: carenze diffuse, collasso parziale della logistica, e un’economia costretta a correre con il freno a mano tirato.