De Ficchy Giovanni



Ah, il Festival di Venezia, quell’opera teatrale annuale che riunisce la crème de la crème del cinema.

In un mondo dove l’arte dovrebbe brillare di luce propria, sembra che la vera star sia sempre e solo la politica, con la Coppa Volpi in mano come simbolo di un’umanità che ha dimenticato i confini del buon gusto.

Sì, perché quando parliamo di Toni Servillo, non si può fare a meno di notare come il palco del Lido diventi il palcoscenico ideale per un sermone politico mascherato da applausi cinematografici.

È proprio vero, a Venezia o parli di Gaza e di Flotilla, oppure per te non c’è notizia.

Servillo, con il suo eloquio inconfondibile, decide di fare un annuncio degno di un leader carismatico: “In nome di un sentimento che tutto il cinema italiano prova in questo momento…”.

Ovviamente, tutti noi sappiamo qual è questo “sentimento”: un misto di altruismo opportunistico e necessità di apparire politicamente corretti al cospetto della sinistra radical chic.

Dopotutto, se non abbracci la causa, puoi anche scordarti di vincere la Coppa Volpi.

Magari potresti persino finire a recitare in un film di Fabio De Luigi.

E così, il nostro eroe del cinema si lancia in una tonante apologia per la spedizione Pro Flotilla.

Per chi non fosse aggiornato, Flotilla non è un nuovo film d’autore, ma la nave che ha trasportato un bel po’ di idealisti, sostenitori della causa palestinese, con una passione che rasenta il fanatismo.

Ma chi lo ama?

Naturalmente, i fotografi si accalcano, pronti a immortalare il momento sacro in cui la politica si intreccia con l’arte. Un momento quasi divino, se non fosse per il sottile velo di sarcasmo che aleggia nell’aria.

La cosa divertente è che Servillo non è l’unico a borbottare frasi ad effetto dal palco.

Benedetta Porcaroli si unisce al club dei militanti sul red carpet.

“Tutti uniti per la dignità umana!” – una frase che sembra uscita da un reality show piuttosto che da una premiazione cinematografica.

Ma d’altronde, chi ha bisogno di una trama solida e di caratteri ben costruiti quando si può semplicemente cavalcare l’onda di un tema caldo per farsi notare?

Ma ahimè, su Hamas, silenzio assoluto.

Nessuna menzione.

È quasi comico pensare che, in un discorso così carico di pathos, il gruppo terroristico venga relegato nel dimenticatoio come il film di turno che nessuno ha voglia di vedere.

Si potrebbe pensare che la retorica pacifista funzioni solo quando fa comodo, e che le parole vengano scelte con la stessa cura con cui si selezionano gli outfit per il tappeto rosso.

Ciò che emerge chiaramente da questo spettacolo è la combinazione perfetta tra il glamour e la militanza.

È un po’ come servire champagne in un bar di periferia e poi chiedere un risotto alla milanese: due mondi che non dovrebbero mai incontrarsi.

Ma qui, al Festival di Venezia, tutto è possibile, e la coerenza è solo un lontano ricordo.

I nostri attori, belli e dannati, si sforzano di portare avanti un messaggio importante mentre si sistemano il capello in modo strategico davanti ai riflettori.

E chissà, magari tra un selfie e l’altro, qualcuno si ricorda veramente del significato della parola “dignità”.

Certo, sarebbe bello vederli sulle navi della Flotilla invece che sui palchi luminari, ma parliamo di sogni impossibili.

E intanto, sullo sfondo, gli applausi crescono, i flash scattano e la vita continua.

A Venezia, il vero trionfatore non è mai il talento, ma il coraggio di schierarsi dalla parte del consenso. “Insegnatemi a parlare come Servillo”, penseranno i giovani attori aspiranti, mentre scrivono i loro discorsi basati su citazioni da Twitter, pronti a salire su quel palco e a battere le mani per il prossimo film che passerà in seconda fila.

E quindi, cari lettori, mentre ci gustiamo il panorama cinematografico italiano, ricordiamoci che la Coppa Volpi, oltre a essere un premio prestigioso, serve anche a riscattare la coscienza politica di chi l’afferra.

Non importa quanto sia buono il film o quanto siate abili nel recitare; ciò che conta è che tu sia in grado di far sentire la tua voce in nome dell’umanità.

Anche se, alle volte, questa umanità può sembrare un po’ forzata, come un attore che si guarda allo specchio e non riconosce il suo stesso riflesso.

E così si conclude questo comizietto, con la Coppa Volpi stretta in mano, un altro anno di cinema che si dissolve nell’eco delle parole, mentre sullo schermo scorrono immagini di una realtà che spesso è ben distante dai riflettori e dalle parole altisonanti.

Di Admin

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