Titolo: La Conferenza Popolare per la Palestina: Tra Invidia e Risentimento

C’è qualcosa di indicibile nel vedere il mondo contemporaneo sprofondare in una marea di contraddizioni, dove il dissenso si maschera da giustizia sociale e l’odio si traveste da compassione.

È così che questa settimana, nella capitale della Motown, Detroit, i sostenitori antiamericani e pro-Hamas hanno dato vita a un evento che avrà certamente passato alla storia come la “Conferenza Popolare per la Palestina”, un raduno in cui l’elogio del terrorismo si è mescolato con la satira dell’Occidente, tutto condito da un invidioso risentimento.

Ma andiamo per gradi.

Gli oratori presenti, con la loro eloquenza indiscutibile, hanno saputo incantare un pubblico che non aspettava altro che sentirsi parte di una battaglia contro un nemico comune identificabile.

Tra le perle di saggezza, uno ha affermato che “l’americano medio non capirà mai la difficile situazione del palestinese perché lo Stato di Israele è una copia carbone degli Stati Uniti.”

Ah, il buon vecchio cliché!

L’idea che la sofferenza palestinese possa essere direttamente imputata all’eccezionalismo americano è un argomento tanto usato quanto risibile.

Eppure, continuiamo a sentirlo ripetere incessantemente come se fosse l’unica verità universale.

Ma andiamo oltre, con il tocco teatrale che solo un grande oratore sa dare alle sue parole. L’invito a distruggere l’idea di America “nella testa degli americani” ha colpito nel segno.

Proprio così: l’istruzione fine si propone di rimuovere quel maledetto filtro dell’eccezionalismo e dell’imperialismo, affinché gli americani possano finalmente vedere l’umanità al di là delle loro distorte concezioni.

Un bel piano, in effetti.

Perché, si sa, l’umanità può essere vista solo attraverso le lenti di chi desidera distruggere ciò che non comprende.

Chissà, forse il prossimo passo sarà invochiamo un’ammenda collettiva da parte di tutti gli americani per i peccati dei loro antenati.

E chi meglio di Rashida Tlaib, la deputata democratica del Michigan, per dare voce a questo fervore antioccidentale?

Con il suo discorso infuocato, ha ricordato ai suoi sostenitori che il passato è un debito che ogni americano deve pagare. “Pensavano di poterci uccidere, violentare, imprigionare, sradicare…”, ha tuonato, aggiungendo un’appassionata nota di vittimismo che ha riscosso larghi consensi.

Ora, è vero, la realtà del conflitto arabo-israeliano è complessa, ma Tlaib sembra appartenere a un universo parallelo in cui la verità è definita da un mix di retorica incendiaria e narrazioni distorte.

Dove stanno, allora, le evidenti menzogne di Tlaib?

È sorprendente notare come la sola forza genocida nel conflitto sia rappresentata dai nemici di Israele, eppure Tlaib riesce a ribaltare il tutto, facendo apparire gli oppressori come vittime e i carnefici come martiri.

Questo è il genio del Barbaro moderno: si è creato un racconto dove la violenza diventa giustificata e quasi necessaria per riscattare una presunta identità storicamente oppressa.

Ma, si sa, il fine giustifica sempre i mezzi.

In tal senso, è impossibile non riflettere sulle parole del recente libro, “Leoni e Spazzini”, dove l’autore argomenta che il Barbaro è fondamentalmente un estraneo alla civiltà occidentale, che attribuisce ogni suo male e malessere ai colonizzatori.

Si tratta di una narrazione che si nutre di vittimismo e che, paradossalmente, non propone mai una giustificazione morale credibile per la distruzione dell’ordine occidentale.

Chi mai ha sentito l’argomentazione che un stato palestinese potrebbe essere un faro di diritti umani?

O peggio ancora, che un’America priva dei suoi valori fondamentali sarebbe un mondo migliore?

No, l’unica cosa che conta in questa narrativa è la distruzione dell’Occidente.

Quella distruzione rappresenta la rivendicazione dell’identità barbarica, un’opera d’arte mal concepita che si affida alla retorica del risentimento.

Visto in questo modo, non possiamo fare a meno di notare come il linguaggio della conferenza fosse impregnato di una sorta di ironia involontaria: chi sostiene di voler costruire un futuro migliore per i palestinesi finisce per esprimere odio nei confronti di un sistema che, pur con le sue imperfezioni, ha dato la possibilità a milioni di persone di prosperare.

La questione diventa ancor più complessa quando consideriamo il ruolo dei media.

In un’epoca dove le notizie viaggiano più veloci della luce e dove la disinformazione è all’ordine del giorno, è sconcertante vedere come certi messaggi riescano a filtrare senza ostacoli.

La conferenza di Detroit non è stata solo un raduno di idee; è diventata un palcoscenico dove l’antiamericanismo trova asilo, mentre si afferma con orgoglio che il vero obiettivo è semplicemente quello di demolire l’idea dell’America.

Il problema di fondo, però, rimane: chi sono questi Barbari, se non esseri intrappolati nelle loro stesse convinzioni?

Quello che non riescono a capire è che denigrando l’Occidente non alimentano una causa nobile, ma alimentano soltanto un ciclo di odio e vendetta.

Essi non propongono alternative costruttive, né una visione di un futuro reale.

Solo distruzione.

E questa è la vera tragedia: in un mondo in cui avremmo dovuto unirci per affrontare le sfide comuni, ci ritroviamo a vedere individualismi esasperati e richieste di riconoscimento basate su premesse fallaci.

Così, in conclusione, possiamo solo sperare che l’eco delle parole pronunciate a Detroit non trovi terreno fertile in altre città americane.

Perché, come abbiamo visto, la strada che porta verso la comprensione e la pace è lastricata di dialogo, apertura e una volontà genuina di superare le divisioni.

Ma fino a quando i Barbari continueranno a entrare nelle aule del Congresso con la loro agenda di distruzione, questa speranza sembra più lontana che mai.

In un momento in cui il mondo ha bisogno di più empatia e collaborazione, ci troviamo di fronte a una manifestazione pubblica di rancore che non fa altro che allontanarci dalla possibilità di costruire un futuro condiviso.

La vera sfida non è solo quella di contrastare le idee radicali, ma anche di promuovere una cultura della comprensione, dove gli uni possano ascoltare gli altri senza il filtro dell’odio e della paura.

Solo così potremo davvero sperare di abbattere i muri che ci separano e di costruire ponti duraturi verso un domani migliore.

Di Admin

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