Putin ha liquidato con un’alzata di spalle il deficit record di 5 trilioni di rubli, come se fosse solo una parentesi contabile.

Al Forum Economico Orientale ha ribadito che non c’è “niente di cui preoccuparsi”, sostenendo che il basso debito pubblico permetterebbe di finanziare senza rischi ulteriori spese per infrastrutture, welfare e soprattutto guerra.

È un discorso che riecheggia sicurezza, ma dietro questa patina di controllo si intravede una spirale che rischia di diventare incontrollabile.

La Russia non è un Paese come gli altri.

Le sue entrate dipendono ancora in misura sproporzionata da petrolio e gas, proprio mentre le sanzioni, i tetti di prezzo e gli attacchi ucraini alle raffinerie stanno erodendo la capacità di generare flussi costanti.

Se le uscite crescono per alimentare l’apparato bellico e mantenere consenso sociale con sussidi e pensioni indicizzate, le riserve in valuta forte vengono intaccate sempre più rapidamente.

Ogni rublo che entra oggi ha meno valore di quello di ieri, perché la spirale inflazionistica impone aumenti salariali e compensazioni continue.

È un deficit che si autoalimenta, più simile a un incendio che divora ossigeno che a un semplice squilibrio di bilancio.

Questa dinamica diventa esplosiva quando si inserisce il fattore guerra.

L’economia bellica non crea valore, ma distrugge asset produttivi, riduce export e costringe a ricostruire ciò che è stato perso. In termini puramente finanziari, ogni rublo speso in Ucraina genera ulteriore deficit domani.

È qui che la traiettoria smette di essere lineare: la curva del disavanzo si piega verso l’alto, accelerata da costi crescenti e entrate decrescenti.

Se oggi il buco è di 5 trilioni, entro il 2026 il rischio è di vedere cifre a doppia cifra, non per scelta politica ma per semplice logica matematica.

Le implicazioni geopolitiche sono evidenti.

Una Russia che brucia risorse a questo ritmo si trova intrappolata in una corsa contro il tempo: da un lato deve convincere la propria popolazione che “la guerra non pesa sul bilancio”, dall’altro deve evitare che l’erosione economica apra crepe politiche.

Per l’Europa e gli Stati Uniti, questa fragilità è un incentivo a mantenere la pressione, perché il collasso non si misura solo in chilometri di territorio guadagnati o persi, ma anche nella capacità di Mosca di finanziare il conflitto senza implodere internamente.

Per la Cina, invece, la prospettiva è ambivalente: un partner indebolito offre spazio di dominio, ma un alleato in bancarotta diventa anche un peso.

Putin può dire che “non c’è niente di cui preoccuparsi”, ma i mercati interni vedono salari in ritardo, carburante scarso, inflazione che morde.

Il rischio non è tanto che il deficit resti un numero scritto su un report ministeriale: il rischio è che diventi la faglia economica su cui si incrina la legittimità stessa del Cremlino.

In questo senso, il buco di bilancio non è solo una questione contabile: è già un’arma geopolitica, e non la tiene in mano Mosca.

Grazie per averci mostrato con precisione chirurgica la calma follia di un dittatore che parla di stabilità mentre osserva il proprio Paese scivolare in un buco nero da trilioni di rubli.

La sua sicurezza ostentata non è forza, ma anestesia collettiva: il paradosso di un leader che recita serenità mentre alimenta un incendio finanziario e militare che divora risorse, futuro e credibilità internazionale.

Abbiamo esaminato in particolare;

I tassi di inflazione record della Russia rispetto ad altre economie del G20

  • Gli elevati tassi di interesse necessari per combattere l’inflazione
  • L’aumento dei prezzi alla produzione e il suo impatto futuro
  • Il deprezzamento del rublo nel lungo periodo
  • Come la conversione a un’economia di guerra sta influenzando questi indicatori
  •  A partire dai primissimi giorni dell’invasione su larga scala, con l’approvazione di una legge che obbligava le banche a «piegarsi» alla cosiddetta economia di guerra.
  • In sostanza, le banche da allora non possono più decidere in autonomia a quali società affidare il denaro dei propri clienti. Devono, al contrario, assecondare gli interessi e i desideri del Cremlino. 
  • Le banche del Paese hanno agito di conseguenza.
  • A partire dalla metà del 2022, hanno fatto confluire prestiti alle società indicate dal Cremlino.
  • Il risultato?
  • Le aziende russe hanno contratto una quantità di debito «senza precedenti»
  • «Lo stimolo fiscale dell’economia di guerra ha mantenuto l’economia a galla nel breve termine, ma la dipendenza da finanziamenti opachi, l’allocazione distorta delle risorse e la riduzione delle riserve rendono lo sforzo insostenibile sul lungo periodo»

La lezione è chiara: dietro ogni “niente di cui preoccuparsi” pronunciato dal Cremlino si nasconde l’inizio di una crisi che, a differenza della retorica, non si può manipolare.

Di Admin

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