
In un affresco di effervescente insipienza, Giuseppe Conte e il Movimento 5 Stelle sembrano aver sfornato l’ultima loro genialata: il reddito di cittadinanza regionale.
Dopo mesi di un intenso (e, diciamolo, ammaliante) lavoro propagandistico che ha solleticato le menti dei suoi elettori con promesse da princepessa, finalmente vediamo la luce!
La presentazione del template, che sa tanto di déjà vu, è avvenuta in Campania, dove pare che l’arte dell’illustrazione di leggi si perda nei vicoli di Napoli.
D’altronde, le elezioni europee si avvicinano, e le acque stagnanti del consenso elettorale puzzano come il pesce scaduto.
#Un nuovo “sostegno agli occupabili”?
Ma cosa ci riserva questa nuova proposta? Un sostegno ai cosiddetti “occupabili”.
Adesso, per chi non lo sapesse, gli “occupabili” sono quei fortunati soggetti che si trovano a vagare nel limbo tra il non volere e il non potere, candidati ideali per impersonare il ruolo di vittime nell’epopea del welfare italiano.
Ma prima di tuffarci nel banale, facciamo un passo indietro e consideriamo il quadro normativo nazionale che, a dirla tutta, è il vero palcoscenico su cui si svolge questa commedia tragicomica.
Da gennaio, il reddito di cittadinanza, che ha visto la luce a partire dall’aprile 2019, è stato sostituito da due istituti che sembrano essere stati elaborati in una notte insonne da un gruppo di esperti accademici ispirati da un viaggio allucinante. Abbiamo l’Assegno di inclusione, progettato per coprire chi è più lontano dalle opportunità lavorative, e il Supporto per la formazione e il lavoro, dedicato, almeno sulla carta, a coloro che hanno la presunzione di definirsi “occupabili”.
Un gran bel pacchetto, vero?
L’Assegno di inclusione, come un abbraccio caldo ma instabile, è destinato a famiglie con componenti in particolari condizioni: disabilità, minori, ultra-sessantenni.
Insomma, un modo elegante per mantenere ai margini chi non produce valore aggiunto nella catena del mercato.
E poi c’è il Supporto per la formazione e il lavoro, un capolavoro di ambiguità che cerca di dar vita a politiche attive per l’occupazione ma che, di fatto, spesso naufraga nei fondali torbidi di territori economicamente desertificati.
La proposta campana: un sogno o un incubo?
Ora, arriviamo al cuore della proposta campana del M5S. Gli “occupabili” in Campania sono stimati in 250.000. Un numero bello, rotondo, da ripetere come un mantra durante i tavoli di discussione.
La proposta si sviluppa su tre fasi: accesso, assistenza e inclusione attiva. L’assegno regionale garantito è di 400 euro mensili per i primi dodici mesi, una cifra che, ammettiamolo, potrebbe far brillare gli occhi di qualcuno.
A questi si aggiungono 200 euro per ogni componente aggiuntivo nel nucleo familiare. Ma non illudiamoci: il diavolo è nei dettagli.
La soglia ISEE è stata innalzata da 6.000 a 9.360 euro.
Ora, cari lettori, chi di voi ha mai provato a vivere con un budget inferiore a quello di un modesto ristorante cinese?
Ma aspettiamo la seconda fase, che è, secondo il consigliere regionale pentastellato Gennaro Saiello, “il cuore della nostra proposta”.
Ah, il cuore!
Vocifera che la Regione stipulerà protocolli d’intesa con le organizzazioni imprenditoriali per identificare i fabbisogni professionali.
E così, i percettori, ovvero certi “fortunati”, verranno “inseriti” in un percorso di inclusione attiva. Bellissimo, vero?
Ma come funziona davvero?
Ma qui sorge un dubbio: i beneficiari percepiranno uno stipendio dignitoso, oppure dovranno accontentarsi dei miseri 400 euro più un contributo variabile dall’impresa?
Dipenderà tutto dal contratto.
Ci sono già quelli che sostengono che servirebbe un salario minimo orario di almeno 9 euro; altrimenti, stiamo solo parlando di sfruttamento.
Dunque, se escludiamo il buco economico, che è ben visibile, ci ritroviamo con un “pacchetto retributivo” timidissimo, che farà lievitare le statistiche sull’occupazione mentre lascia i percettori a desiderare un pezzo di pane.
Viene da chiedersi se sia davvero così semplice coinvolgere le imprese in questa operazione miracolosa di “ricognizione”.
Un compito arduo, sul quale potremmo sempre invocare l’ispirazione divina.
È chiaro che la proposta M5S si propone di allungare il periodo di erogazione del sussidio fino a 36 mesi, ma saggiamente camuffato sotto il velo delle politiche di inclusione.
Perché, dopo tutto, chi non ama un bel sostegno finanziario pensato per durare eternamente?
La vera sfida: affrontare il problema
Ma torniamo alla questione centrale: cosa deve fare il governo Meloni quando il Supporto per la formazione e il lavoro scade nei dodici mesi?
Non possiamo ignorare la realtà: in un’Italia afflitta da un elevato tasso di povertà, la vera sfida è stimolare l’occupazione in un contesto in cui molti continuano a vagabondare nel buio del mercato del lavoro.
Territori segnalati come desertificati, dove l’economia è ridotta a un eco inquietante e il mercato informale prospera come una giungla.
E non dimentichiamoci delle mirabolanti cifre e delle elucubrazioni dei proponenti: 200 milioni di euro trovati nelle pieghe del bilancio regionale.
Ma anche loro ammettono che non sono sufficienti, quindi si ripiegano su risorse nazionali ed europee. In altre parole, esattamente ciò che il governo ha fatto per anni: pescare in mare aperto per trovare le risorse necessarie a tamponare le falle.
Un dilemma politico
Le somme rese disponibili dai fondi strutturali europei e dal Programma Gol sembrano promettenti, ma c’è una coperta corta sotto cui ci si rifugia.
Portare il messaggio che “ci sono soldi, basta volerlo” è un ottimo titolo per un talk show, ma nella realtà, è una farsa.
Dobbiamo essere onesti: la proposta pentastellata ha il rischio di diventare un format nazionale, un esperimento politico per strangolare il Partito Democratico nel momento in cui lancia candidature locali, cercando alleanze per la prossima legislatura.
E così, mentre il M5S rilancia proposte di puro sussidio camuffate da politiche riattivanti, la verità è che l’Italia ha un problema di inaridimento dell’economia.
Nessun governo, men che meno quello di Giorgia Meloni, può cava scuse legittime per ignorare questa realtà.
Essere costretti a ribaltare la narrativa e tornare a discutere di reddito di cittadinanza è un incubo ricorrente, e il M5S si prepara a cavalcare quest’onda in modo astuto e calcolato.
Un epilogo ironico
Ma il nostro viaggio non è finito; uno degli aspetti più affascinanti di questa storia è la mancanza di limiti sulle prime case.
Il consigliere Saiello ha chiarito: chi possiede una casa del valore di 150.000 euro rimane escluso.
Ma per il M5S?
Niente limiti.
E non dimenticate l’offerta promozionale “alla prima telefonata, una moto d’acqua in omaggio!”. Cosa puoi desiderare di più?
In conclusione, il reddito di cittadinanza regionale potrebbe rivelarsi un’altra artefatto fantasioso della politica italiana, che, come al solito, va incontro a una realtà complessa che non può essere risolta con semplici promesse.
Se ci fosse una medaglia d’oro per il realismo politico, io direi che l’unico premio andrebbe alla lungimiranza di chi, nel bel mezzo di questa confusione, è riuscito a mantenere il senso dell’humor.
Quindi, per ora, Conte, provaci ancora.