De Ficchy Giovanni

De Ficchy Giovanni

Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’Europa fu teatro di una delle pagine più buie della sua storia: la persecuzione degli ebrei da parte del regime nazista. In questo contesto, si svilupparono varie reti clandestine di salvataggio, tra cui una particolarmente significativa gestita sotto l’egida di Papa Pio XII.

Tra i membri di questa rete vi è il sacerdote italiano don Giancarlo Centioni, ancora in vita, che ha dedicato gran parte della sua esistenza a salvare vite umane nel periodo più critico della storia europea.

Nella sua testimonianza, don Centioni offre uno sguardo prezioso su come la Chiesa cattolica operò per proteggere gli ebrei perseguitati, spesso rischiando la propria vita.

Gli Inizi della Rete di Salvataggio

Don Giancarlo Centioni nacque nel 1912 e, durante gli anni della guerra, era cappellano militare a Roma per la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.

Le sue origini e il suo ruolo pubblico gli permisero di muoversi con relativa libertà all’interno di un contesto complesso e pericoloso.

La sua collocazione nella Casa generalizia dei Pallottini, dove visse in compagnia di sacerdoti tedeschi, lo mise in contatto con una rete già esistente, conosciuta come Raphael’s Verein, ovvero la società di San Raffaele, fondata per aiutare gli ebrei a fuggire dalla Germania.

Questa organizzazione aveva lo scopo di fornire assistenza a coloro che cercavano di fuggire non solo dall’occupazione nazista, ma anche dalle leggi razziali che discriminavano profondamente gli ebrei.

Grazie all’aiuto di sacerdoti tedeschi, don Centioni divenne un attivo partecipante nel salvare vite umane, impiegando le risorse disponibili della Chiesa e stabilendo contatti diretti con la Segreteria di Stato vaticana.

La Leadership di Padre Anton Weber

Uno dei punti di riferimento di questa rete a Roma era padre Anton Weber, che giocava un ruolo cruciale nella coordinazione delle attività di salvataggio.

Padre Weber era in contatto diretto con Pio XII e riceveva il mandato di distribuire passaporti e fondi per sostenere le famiglie ebree in fuga

. Don Centioni ricorda con affetto e rispetto il lavoro instancabile di Weber, sottolineando come il denaro e i documenti venissero forniti direttamente dalla Segreteria di Stato vaticana, in rappresentanza di Papa Pacelli.

Le risorse economiche e logistiche erano essenziali per il successo dell’operazione di salvataggio: i sacerdoti coinvolti si impegnarono a consegnare passaporti e denaro nelle mani delle famiglie ebree, permettendo loro di intraprendere la fatidica via della fuga.

Questo sistema richiedeva un alto grado di discrezione e coraggio, poiché qualsiasi errore avrebbe potuto portare a conseguenze devastanti.

L’Operazione di Salvataggio

Don Centioni menziona che gli interventi della rete di salvataggio iniziarono prima dell’invasione tedesca in Italia e continuarono ben oltre la fine della guerra.

Tra le persone che aiutò ci furono due ebrei, Melchiorre Gioia e Erwin Frimm Kozab, che ricevettero rifugio in case sicure a Roma.

Questi uomini contribuirono attivamente al piano di salvataggio fornendo indicazioni e supporto, dimostrando così che la solidarietà tra diverse comunità era non solo possibile, ma necessaria.

La rete operava in maniera molto oculata.

Ogni passo era pianificato per ridurre il rischio di arresti e catture.

Tuttavia, l’attività clandestina si faceva sempre più pericolosa.

Don Centioni ricorda un episodio in cui aiutò Ivan Basilius, un ebreo cui ni conosceva realmente l’identità di spia russa.

La scoperta del suo coinvolgimento con una figura così compromessa portò al suo allertamento da parte della Santa Sede. Nella frenesia della fuga, don Centioni si rese conto di quanto fosse esposta la sua vita, evidenziando il rischio costante che correvano tutti coloro coinvolti nella rete.

Inoltre, in un memoriale scritto di suo pugno il 18 aprile 2010 don Centioni aggiunge: «ricordo che nell’anno 1943 la nostra Comunità di Via dei Pettinari (…) ha accolto e nascosto, tra gli altri, per almeno due mesi, la famiglia ebrea Pavoncello, composta allora dal padre sig. Angelo, dalla moglie sig.ra Tagliacozzo Speranza e dai figli Settimio, Margherita, Pacifico, Alberto, Peppino e Fiorella.

Successivamente sono stati separati e sono stati nascosti singolarmente in altri luoghi. Dichiaro, inoltre, che il sig. Pacifico, allora ragazzo, arrestato in piazza Fiume e portato prima a Via Tasso, poi nel carcere di Regina Coeli e infine nella Caserma dell’81a Fanteria, e stato lì salvato dal mio confratello P. StanisIao Suwala», consultore generale dei pallottini che in incognito faceva di tutto per aiutare gli ebrei a sfuggire ai loro aguzzini.

Grazie ai passaporti ed al denaro – 3.000 dollari, 1.895.000 escudos e 3.100.000 lire – che la Segretaria di Stato di Sua Santità, per nome e per conto di Pio XII, mise a sua disposizione, tra il 1940 e il 1944 P. Weber delle 25.000 persone assistite riuscì a far emigrare ben 1.500 ebrei di nazionalità tedesca, polacca, austriaca e jugoslava.

Quanto andiamo dicendo è suffragato da una missiva inviata al pontefice, il 2 settembre 1944, proprio dal direttore di questa organizzazione nella quale si legge: «questa opera fu possibile soltanto grazie alla protezione e al valido aiuto della Santa Sede (…) e prima di ogni altro alla persona di Sua Santità, che con cuore paterno è venuta in aiuto della opera nostra.

(…) Subito dopo rivolgiamo il nostro pensiero all’Istituto “Opere di Religione” senza la cui efficace, pronta, e generosa assistenza il problema finanziario della assistenza ai profughi non si sarebbe mai potuto risolvere».

Il Contesto Sociopolitico

In un contesto in cui la paura regnava sovrana, il modo in cui don Centioni affrontò situazioni estreme e interagì con figure come Herbert Kappler, comandante della Gestapo a Roma, offre una panoramica unica sulle dinamiche del potere.

Kappler, noto per il suo ruolo nell’eccidio delle Fosse Ardeatine, era una figura temuta e rispettata.

La testimonianza di don Centioni rivela un dialogo audace tra religione e politica.

La domanda posta al comandante tedesco sulla mancanza di cappellani militari durante le esecuzioni è un chiaro esempio di come persino la critica a un regime oppressivo fosse un atto di grande coraggio.

Il custode della memoria storica, don Centioni, racconta anche di come le centinaia di ebrei che aiutarono fossero consapevoli del sostegno che ricevevano, il quale arrivava direttamente da Pio XII e dalla rete ecclesiastica di Roma.

Ciò dimostra che, nonostante le minacce e il clima di terrore, la fede e la speranza riuscivano a prevalere, in particolare in un contesto dove la sinergia tra la Chiesa e il mondo ebraico assunse un significato profondo.

La testimonianza di don Giancarlo Centioni non è solo una cronaca di eventi; è un atto di resistenza e un monito per le generazioni future.

La Rete di Salvataggio di Pio XII, attraverso le azioni coraggiose di sacerdoti come don Centioni e padre Weber, è un esempio di come la dedizione alla vita umana possa superare le avversità imposte da ideologie oppressive.

La storia di questa rete clandestina ci invita a riflettere sul nostro ruolo come individui e come comunità nella lotta contro l’ingiustizia e la persecuzione.

Mentre il mondo si confronta con nuove sfide, le azioni di coloro che, in tempi di oscurità, scelsero di essere una luce di speranza rimangono rilevanti e ispiratrici.

Le parole di don Centioni e la sua opera di salvataggio non possono e non devono essere dimenticate.

Essi rappresentano un esempio di umanità che, anche in mezzo al caos, trovò la forza di agire in difesa dei più vulnerabili.

In un momento in cui la memoria storica è tanto importante, la vita e l’impegno di don Centioni continuano a scrivere una storia di coraggio e speranza che merita di essere ascoltata e tramandata.

Come si evince chiaramente da quanto vi abbiamo fin qui raccontato, l’impegno in prima linea della S. Sede e di tanti religiosi e religiose in questa catena di solidarietà, non fu nel modo più assoluto qualcosa di sporadico e localizzato in zone particolari, ma rappresentò, al contrario, un atteggiamento diffuso e ben ramificato che si estendeva in tutto il territorio nazionale collegando tra loro anche varie diocesi.

Di Admin

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