De Ficchy Giovanni

Charlie Kirk

Nel suo libro L’eskimo in redazione.

Quando le Brigate Rosse erano «sedicenti», Michele Brambilla ci regala una finestra affascinante, e al contempo inquietante, su come i media italiani degli anni ’70 si sono cimentati nel ruolo di avvocati difensori delle Brigate Rosse.

Chi avrebbe mai pensato che la stampa potesse diventare un’arena in cui si giocano partite di propaganda tanto audaci?

Per Brambilla, l’atteggiamento dei giornalisti di sinistra dell’epoca sembra essere quello di un illusionista che cerca di convincerci che il coniglio che è appena saltato fuori dal cilindro non sia affatto un coniglio, ma una sorta di fascista travestito.

Prendiamo ad esempio il sequestro di Ettore Amerio, un dirigente Fiat rapito nel 1973.

Su Panorama, rivista all’epoca considerata un faro della sinistra intellettuale, è apparsa l’illuminante teoria secondo cui le Brigate Rosse non sarebbero altro che “un’organizzazione di estrema destra camuffata”.

Ecco, sì, perché chi potrebbe mai immaginare che un gruppo di ribelli di sinistra possa avere un’agenzia di pubbliche relazioni così scadente da farsi scoprire mentre indossa un costume da fascista?

Ma chi non ama un po’ di dramma nella narrazione?

Proseguendo nella lettura di Brambilla, ci imbattiamo nel sequestro di Mario Sossi, un magistrato genovese.

Il Secolo XIX di Genova, quel grandioso bastione della verità, ci dice che l’obiettivo delle BR era “scardinare le istituzioni democratiche” per aprire le porte a una mirabolante “dittatura fascista”. Evidentemente, il pubblico aveva bisogno di una storia epica in cui le figure buone (e noi sappiamo chi sono) combattono contro il male assoluto, rappresentato dalle BR.

Curioso, considerando che i fatti raccontano di una brutale violenza di sinistra.

E non possiamo dimenticare l’omicidio di Sergio Ramelli, il giovane missino ammazzato nel 1975. Qui, la stampa di sinistra supera se stessa: “Delitto maturato in ambienti interni alla destra estrema”, scrivevano.

Ah, questa abilità di ribaltare la realtà con un semplice colpo di penna!

Gli assassini erano chiaramente militanti di sinistra, ma chissà, forse il concetto di coerenza logicamente complessa era troppo per loro.

Perché dirlo esplicitamente quando puoi fare riferimento a un complotto piuttosto che a una responsabilità diretta?

E chi potrebbe dimenticare Giorgio Bocca, che si meravigliava che le Brigate Rosse potessero sembrare “una favola per bambini scemi o insonnoliti”?

Ah, l’intellettuale di sinistra, sempre a caccia di nemici, soprattutto quando i nemici si trovano in casa.

Non ci sono dubbi: la ricetta del giornalismo di sinistra era ed è quella di negare la violenza interna, puntando il dito su chiunque possa servire come capro espiatorio.

Brambilla non si ferma qui, ma analizza anche le tendenze contemporanee a deviare l’attenzione dai crimini rossi.

Lo fa con esempi attuali, come l’assassinio di Charlie Kirk da parte di Tyler Robinson, un giovane radicalizzato nelle sfere della sinistra.

Roba da film horror, dove l’assassino è un seguace di ideologie “moderne” che non hanno nulla a che vedere con il crimine di odio.

Le evidenze non mente, eppure ci troviamo di fronte a una narrativa che tende a sminuire e distorcere.

Robinson, per chi non lo sapesse, ha incisi sul proprio fucile frasi come “Ehi fascista, prendi!” e il ritornello di “Bella ciao”.

Una bellissima colonna sonora, se la vostra idea di una melodia accattivante è una sorta di inno antifascista usato per giustificare crimini violenti. D’altronde, chi non sarebbe d’accordo che l’antifascismo radicale possa giustificare atti estremi?

Viviamo in tempi moderni, ma la modalità di difesa dei crimini che arrivano da sinistra continua a rimanere aggrappata a schemi che già conosciamo. La narrativa è sempre la stessa: il terrorista, il violento, deve essere al di fuori della nostra sfera di influenza.

Che si tratti di Brigate Rosse o di Tyler Robinson, ci sono sempre dei fascisti da incolpare!

La stampa, una volta simbolo di informazione e verità, si ritrova a fare da notaio di una narrazione che preferisce chiudere gli occhi sui crimini della propria fazione.

E così eccoci qui, a osservare la danza macabra di accuse e disinformazione, diabiliotti che si mascherano dietro ai simboli di pace mentre scagliano le loro frecce mortali.

Quindi, che ci insegna tutto questo?

Forse che, nei luoghi in cui la verità è più informe di un blocco di gelatina, il sarcasmo potrebbe rivelarsi l’unico strumento affilato in grado di tagliare attraverso la facciata.

Mentre ci addentriamo in questa giungla di ideologie e retoriche, possiamo solo domandarci chi sarà il prossimo a ballare fra le ombre del capro espiatorio, e se mai avremo il coraggio di guardare in faccia la verità.

Di Admin

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