De Ficchy Giovanni

Un presidente che confonde la diplomazia con la boxe verbale, sfruttando ogni opportunità per lanciarsi in una sfida a Donald Trump.

È un atto rivoluzionario, ci dicono, quasi alla maniera di Maduro.

E intanto il paese osserva dall’alto, come se stesse assistendo a un’acrobazia senza rete di sicurezza.

Gustavo Petro ha fatto il suo annuncio con la grinta di un pugile sul ring: “Non minacciatemi, vi aspetto qui se volete”.

La scena evoca l’immagine di un parco di quartiere, dove i bambini giocano e i ragazzini si sfidano per conquistare il pallone.

Solo che stavolta il “parco” è la politica internazionale e il rivale non è un teppista qualunque, ma il presidente più astuto e irascibile del pianeta.

Davvero un bel palcoscenico per esibire la propria bravura… o meglio, il proprio ego.

Le piazze applaudono, certo, e i tifosi festeggiano le parole forti di Petro.

Ma dietro l’eco di quei proclami c’è una verità scomoda da affrontare: la Colombia non sta vincendo questa battaglia, la sta perdendo.

Mentre Petro sembra il protagonista di un western caraibico, gli Stati Uniti si preparano a infliggere un colpo basso: la decertificazione della lotta antidroga.

Da quasi trent’anni non accadeva un disastro simile, relegandoci in compagnia di paesi ben noti per avere a che fare con il narcotraffico, come Venezuela, Bolivia e Afghanistan.

Un bel salto di qualità, non c’è che dire.

I numeri parlano chiaro e sono implacabili: nel 2021 venivano sequestrati 48 chili di droga ogni 100 prodotti; oggi, quei numeri sono scesi a 28.

L’ONU, che sembra divertirsi a ricordarci le nostre miserie, segnala che la Colombia conta oltre 300.000 ettari di coca.

E noi, che sembriamo divertirci a far finta di niente, continuiamo a meravigliarci se poi la cocaina costa meno di un caffè.

Ma sì, meravigliamoci pure, tanto a pagare sono sempre gli altri.

E l’ONU, contenta, si sfrega le mani.

Una coltivazione sufficiente a finanziare tutto, dai clan mafiosi ai dissidenti politici, mentre l’ELN attraversa il confine venezuelano come se fosse una passeggiata nella sua cittadina di provincia.

E il governo colombiano si interroga, impotente, su come arginare un fiume di denaro sporco che alimenta la corruzione a ogni livello.

Le piantagioni di coca sono diventate un bancomat a cielo aperto, un’illusione di prosperità che nasconde una realtà fatta di violenza, sfruttamento e degrado ambientale.

Un circolo vizioso che sembra destinato a ripetersi, alimentato dalla domanda insaziabile di cocaina proveniente dai paesi ricchi, e dalla incapacità dello stato di offrire alternative economiche valide alle comunità rurali.

Ma tra una provocazione e l’altra, la realtà bussa alla porta più forte di qualsiasi frase roboante: dipendiamo da quella relazione con gli Stati Uniti.

Nel 2024, sono arrivate rimesse per oltre 11,8 miliardi di dollari, quasi 50 trilioni di pesos.

Questo equivale al 4% del PIL!

Migliaia di famiglie sopravvivono grazie a questi soldi.

Cosa c’è di meglio, quindi, che mettere tutto a rischio per uno scontro di ego?

Petro può sentirsi a proprio agio sul ring.

Tuttavia, governare un paese non equivale a combattere con slogan pomposi e parole vuote.

La Colombia non vive di spavalderia; ha bisogno di investimenti, cooperazione e, soprattutto, fiducia.

Qualcosa che sembra completamente dimenticata mentre Petro gioca a fare il piccolo Rebibbia mondiale.

E così, quello che per lui è un calcolato spettacolo a breve termine, per la Colombia diventa un costo colossale per l’economia, la sicurezza e il futuro.

Dalla decertificazione allo scontro, c’è una sola costante: il caos

. Ma non è una coincidenza; è piuttosto lo stile di governo di Gustavo Petro.

Un modo di fare che invece di costruire ponti tende a erigere barriere.

Ma si sa, in un mondo dove la comunicazione avviene attraverso tweet e slogan, perché dovremmo preoccuparci delle conseguenze di un vero dialogo diplomatico?

In conclusione, c’è da chiedersi se le acrobazie retoriche di Petro siano davvero degne di un presidente o se, piuttosto, non siano altro che un modo per coprire l’assenza di strategie concrete.

E mentre il pubblico applaude, la Colombia continua a pagare il prezzo della teatralità politica. Sarà questa la nuova normalità?

Nella giungla della politica internazionale, sembra proprio di sì.

Di Admin

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