De Ficchy Giovanni

Ma Elly dimentica un dettaglio: nel Pd è in corso una guerra…..



In un contesto politico in continua evoluzione, la Direzione del Partito Democratico (PD) si è trasformata in un palcoscenico surreale in cui i riformisti, protagonisti involontari di un copione assurdamente comico, hanno deciso di partecipare.

I giorni precedenti l’incontro erano stati caratterizzati da una frenesia simile a quella che precede il Natale: discussioni animate, proclamazioni drammatiche e un annuncio di forfait che sembrava promettere un’assenza epocale.

Ma come in ogni commedia dell’arte, nel momento clou è arrivato il sipario alzato.

La convocazione della Direzione, sette lunghi mesi dopo l’ultima, ha scatenato una tempesta di polemiche, non fosse altro per il suo tempismo, appositamente programmato a ridosso delle elezioni.

La segretaria guida la Direzione dem e sogna in grande, ma presto dovrà fare i conti con la realtà

I riformisti, in preda a una crisi di nervi degna del miglior teatro dell’assurdo, hanno inizialmente dimostrato una certa risolutezza nel voler rimanere a bordo.

Ma chi l’avrebbe mai detto che alla prova dei fatti, le vere ragioni avrebbero prevalso: l’elettorato, quel misterioso ente che pare possedere un potere quasi magico, è riuscito a portare tranquillità tra le fila di un partito in preda a tensioni interne.

Eppure, nonostante tutto, i riformisti non hanno veramente spazzato via la polvere sotto il tappeto; l’hanno semplicemente compressa, come se fosse un sacco di immondizia pronto per il giorno della raccolta differenziata. E i rumors interni, ahimè!

Non sono certo venuti meno: circolano voci che indicano un’imminente organizzazione dei riformisti per uscire dal loro “congelatore”politico, un termine che fa pensare più alle abitudini alimentari che a un partito propositivo. Senza il “carismatico” Stefano Bonaccini, leader fino a qualche settimana fa, ecco che l’idea di un evento a metà ottobre si materializza in un aura di speranza, o forse di ultima spiaggia.

L’unità invocata dalla segretaria Elly Schlein durante la sua arringa in Direzione rimane quindi uno slogan da poter stampare su una maglietta: “Uniti fino al voto”, ma dopo, beh, si vedrà.

La verità è che nel bel mezzo di questa apparente unità, si nasconde l’ignoto: il famoso identikit del PD contemporaneo.

Nella mente del cittadino, tanto alieno quanto disilluso, si profila l’immagine di un partito che cerca di giocare il grande gioco della politica: il “campo largo”.

Quel campo che diventa un rifugio sicuro per posizioni variegate che, purtroppo, è più un accampamento temporaneo privo di una visione comune piuttosto che un insieme coeso e propositivo.

Un tale “calderone” può vantare una pluralità di idee, ma quando si tratta di sintesi, sembra di assistere a una danza cha-cha tra distanze incolmabili.

Molti membri, vestiti con la loro armatura di astuzie politiche, affermano che si affronteranno i problemi interni “dopo il voto”.

Facile, no?

In fondo, si sa che le elezioni possono fungere da pozione magica per cancellare dissidi e rancori.

Tuttavia, ci si chiede: un buon risultato elettorale potrà davvero servire come catalizzatore per una discussione pacifica e serena?

Si sente quasi l’eco delle risate isteriche dei fondatori del PD, ora ridotti a una frustrazione galoppante.

E allora, cosa ci aspetta all’orizzonte?

Alcuni analisti politici ipotizzano che un successo elettorale possa trasformarsi in una sorta di mistica d’un momento, portando a una riflessione più profonda su chi siamo e dove stiamo andando.

Tuttavia, non possiamo fare a meno di notare come, in fondo, questa sia solo una maschera molto ben confezionata per non affrontare questioni fondamentali.

L’elemento cruciale rimane sempre e solo uno: l’identità.

In un mondo in cui i partiti devono farsi carico delle aspettative dei cittadini, l’incapacità di definirsi sembra un passo fatale.

La vera domanda, quindi, è semplice: il PD sarà mai in grado di superare la propria condizione di convivenza forzata per dare vita a qualcosa di realmente innovativo e vincente?

O continuerà a essere schiacciato dal peso della storia, dei personalismi e dei tatticismi?

Mentre i riformisti si preparano ad uscire dal loro letargo, la gente aspetta di vedere se questo non sarà solo un altro tentativo di rimanere a galla su una barca che imbarca acqua.

L’arte della politica richiede coraggio, visione e un po’ di follia: ingredienti che sembrano mancare in questa strana ricetta politica.

Fino al voto, ci diranno che tutti sono “testardamente unitari”, ma dopo?

Dopo si vedrà.

E nel frattempo, chissà quali altri sipari si alzeranno sul palcoscenico del PD, mentre la frenesia della campagna elettorale continua a scorrere come un fiume in piena.

Ciò che è chiaro è che non mancherà lo spettacolo.

Dunque, armati di popcorn, prepariamoci a osservare una delle più intricate e ironiche danze politiche italiane di questi tempi.

Perché, in fondo, il teatrino della politica è proprio questo: un’avvincente commedia degli errori, con protagonisti disorientati che si muovono su un palcoscenico instabile, in ascolto di un pubblico ansioso di vedere infine questo “gioco delle parti” che potrebbe, chissà, portarci verso un nuovo inizio o semplicemente rimanere un eterno “work in progress”.

Di Admin

Scopri di più da Giornalesera.com

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continua a leggere