FLOTILLA PER GAZA: “O NOI O LORO”, ARABI CONTRO LGBTQ

In un mondo in cui il progresso e la tolleranza dovrebbero camminare mano nella mano, ci ritroviamo a fare i conti con le manifestazioni più pittoresche di contraddizione e ironia.

“La Palestina è prima di tutto la causa dei musulmani, e questa causa non può essere separata dalla sua dimensione spirituale e religiosa. Cosa vi aspettate che pensi un musulmano quando sente gli slogan di questo movimento queer durante una missione lanciata in nome di una causa sacra e centrale?

Non si può degradarla in questo modo”.

Prendiamo, ad esempio, la recente decisione del coordinatore Khaled Boujemâa di abbandonare una missione, esprimendo la sua indignazione per la presenza di esponenti della comunità LGBTQ+.

In un colpo solo, Boujemâa riesce a sollevare un mare di polemiche e risate amari.

«Ci hanno mentito sull’identità di alcuni dei partecipanti», afferma con convinzione, come se la verità fosse un accessorio che ognuno può indossare o togliere a piacimento, a seconda delle circostanze.

È interessante notare come il suo rifiuto risuoni forte e chiaro, quasi come un eco nelle montagne del pregiudizio: «Un’attivista ‘queer’ viola i valori della società e lo rifiutiamo».

Ecco qui l’incanto dell’assurdo: una missione per la libertà, ma con una lista di ammissione che sembra più simile a quella di un club esclusivo, dove i requisiti di ingresso si compongono di norme antiquate su sessualità e identità.

La sua affermazione che «la Palestina è la causa dei musulmani» potrebbe sembrare ispirata a un manuale di propaganda politica, ma, ahimè, non considera il vibrante mosaico che compone la società palestinese moderna. Forse Boujemâa dimentica che le dimensioni spirituali e religiose di una causa non dovrebbero escludere l’inclusione e la diversità.

Ma cosa importa?

La sua narrativa è più prosaica, e quindi più facile da digerire per un pubblico che ama la semplificazione.

E dunque, ci troviamo difronte a una domanda cruciale: perché siamo coinvolti in questa commedia degli equivoci?

Una flottiglia, simbolo di speranza e solidarietà, viene invasa da «oscure figure che servono altri interessi».

Qui Boujemâa raggiunge l’apice della sua arte oratoria, insinuando che gli attivisti LGBTQ+ siano intrusi in un contesto sacro.

Questi “personaggi sospetti” sono paragonabili a figure sinistre in film di spionaggio, ma in realtà sono solo persone che, come tanti, desiderano una vita libera da discriminazioni.

Ah, il dono della retorica!

Solo un arabo musulmano, secondo la visione di Boujemâa, potrebbe pensare di sentirsi offeso dalla presenza di simboli di una lotta per i diritti civili che si intrecciano con la propria causa.

Consiglierei a Boujemâa di rivolgersi a una libreria per esplorare gli scritti di autori arabi LGBTQ+, che affrontano questioni simili con una sensibilità ben lontana dalle sue affermazioni.

Ciò che è profanazione per alcuni può essere, per altri, una forma di resistenza.

E ora, un momento di riflessione: cosa dire a quegli attivisti arcobaleno che entusiasmati ballavano con tanto fervore a sostegno di Hamas?

Ignorano forse che a Gaza potrebbero affrontare conseguenze ben più gravi di un semplice disguido?

Dovremmo mai sottovalutare la capacità umana di ignorare le verità scomode, ma queste scelte rischiano di trasformarsi in un gioco al massacro, in cui le vite di chi lotta davvero per la libertà vengono messe a repentaglio.

C’è un’ironia dissacrante nel pensare che mentre Boujemâa si preoccupa della purezza della causa, ignora le sfide esistenziali che diverse comunità affrontano.

La lotta per i diritti umani non può essere divisa in compartimenti stagni, né appiattita su ideologie obsolete.

Ogni persona, indipendentemente dalla sua identità, merita rispetto e dignità.

Anche un’altra figura di spicco della flottiglia, Mariem Meftah, ha preso le distanze dal movimento.

Ha attaccato violentemente l’attivismo LGBT.

”  L’orientamento sessuale di ognuno è una questione privata […]. Ma essere un’attivista “queer” significa violare i valori della società e intraprendere una strada che rischia di mettere i miei figli e i miei cari in una situazione che rifiutiamo. Mi rifiuto di proporre a mio figlio un cambio di sesso a scuola…”, ha dichiarato l’attivista filo-palestinese, secondo quanto riportato dal Courrier de l’Atlas

In conclusione, la missione di Boujemâa, divenuta un palcoscenico di tensioni culturali e identitarie, potrebbe farci riflettere su quanto sia necessaria una revisione delle nostre prospettive.

Se la Palestina rappresenta una causa per tutti, inclusi coloro che non si conformano ai cliché sorpassati, allora forse è tempo di unire le forze piuttosto che dividerle.

E allora, chi lo dice a lui che i diritti umani non possono essere selettivi?

Che la libertà di uno è la libertà di tutti, anche quando questa libertà vesta colori che potrebbero non piacere a tutti.

Di Admin

Scopri di più da Giornalesera.com

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continua a leggere