Giovanni De Ficchy

Il peronismo, un termine che evoca immagini di folclore politico, assistenzialismo e una certa inclinazione al populismo, ha trovato un nuovo palcoscenico in Italia.
E ora i protagonisti della nostra commedia sono Elly Schlein e Giuseppe Conte, due figure che sembrano più adatte a interpretare una sceneggiatura drammatica che a condurre il Paese verso una governance seria e responsabile.
Elly Schlein, novizia della politica con ambizioni da leader maximo, e Giuseppe Conte, l’avvocato del popolo catapultato dalle aule universitarie ai palazzi del potere, si ritrovano ora a danzare un tango incerto, un valzer stonato che rischia di far cadere l’intera orchestra.
Lei, con la sua retorica infiammata e i proclami ambientalisti, sembra più interessata a costruire una narrazione che a risolvere i problemi reali.
Lui, impantanato nel suo passato di premier “per caso”, fatica a scrollarsi di dosso l’immagine di uomo solo al comando, incapace di dialogare e di costruire un’alleanza solida e duratura.
E mentre i due galli cantano nel pollaio, il Paese affonda sotto il peso di una crisi economica senza precedenti, di una disoccupazione galoppante e di una sanità pubblica al collasso.
Ma cosa importa a loro?
L’importante è apparire, farsi vedere, rilasciare dichiarazioni ad effetto, magari con qualche frecciatina velenosa all’avversario di turno
.E così, tra un’intervista patinata e un comizio improvvisato, l’Italia si ritrova in balia di due personaggi che, anziché lavorare per il bene comune, sembrano più interessati a coltivare il proprio orticello, a difendere il proprio feudo, pronti a tutto pur di non perdere un briciolo di potere.
E noi, poveri spettatori, non possiamo fare altro che assistere a questa tragicommedia, sperando che il sipario cali presto e che, al loro posto, arrivi qualcuno in grado di scrivere una sceneggiatura più seria e responsabile.
Ma diamo uno sguardo più da vicino a questo strano abbraccio che ha portato alla perdita di ben 10 elezioni su 13.
La strategia di Schlein: un disastro annunciato
Partiamo dalla premessa.
Finora la strategia di Elly Schlein è stata disastrosa.
Perdonate l’eufemismo, ma dire che le cose non stanno andando bene è come dire che il Titanic ha avuto qualche problema con un iceberg.
Associare il Partito Democratico a Conte nelle regionali è stata una mossa che ha un sapore di disfatta. Non è solo una questione di numeri; è proprio un’anomalia politica che ha sorpreso anche le menti più brillanti dei nostri analisti.
Come si fa a perdere così tante elezioni eppure continuare a proporre lo stesso menù avariato?
Conte, dal canto suo, non è certo lì per fare beneficenza.
La sua OPA sul PD è chiaramente dettata da interessi politici: per un partito come il Movimento 5 Stelle, che è rimasto più piccolo di un melon da giardino, l’unico treno verso un possibile ritorno al governo è quello guidato da Schlein.
Curioso, no?
È come se entrambi stessero su un’auto in cui il motore stesse affondando, eppure continuano a premere l’acceleratore.
Populismo e regionalismo: un nuovo paradigma
Ma perché questo abbraccio populistico tra i due?
Certamente, ci sono motivi profondi e non sempre razionali. Il primo è che la deriva del regionalismo italiano è ormai un dato di fatto.
In Italia, come in un gioco di Monopoli, non vince necessariamente chi “governa bene”, ma chi riesce a parassitare la spesa pubblica con maggiore determinazione per i propri clienti.
Un concetto che richiederà qualche riflessione seria, magari davanti a un caffè, per chi crede ancora nell’idea di governance meritocratica.
Prendiamo Sardegna come esempio.
La vittoria di Todde dei 5 Stelle in Sardegna non è stata schiacciante, ma solo un filino sopra la coalizione uscente, grazie a un pugno di voti in più.
È come se l’isola fosse bloccata in un immobilismo politico così radicato che neanche le ONG riuscirebbero a muoverla.
L’assistenzialismo regna sovrano, e il bipolarismo premia il populismo fine a se stesso, piuttosto che premiare chi propone soluzioni reali e riforme.
Le elezioni politiche: un altro palcoscenico
Ma attenzione, perché la dinamica delle elezioni politiche è differente.
A Roma, c’è un voto di opinione che conta molto di più.
I 5 Stelle, con il loro assistenzialismo all’italiana, possono lucrare qualche consenso in più.
Bonus edilizi, stipendi garantiti e altre “spesucce” a carico di uno Stato già iper indebitato: una ricetta che non smette mai di attrarre.
Ecco perché Conte non ha interesse a separarsi dal PD.
Piuttosto, lui mira a influenzarne le strategie, controllandolo indirettamente.
Ha finora avuto successo nel spingere il PD non verso il centro, ma verso le ali estreme.
Siamo in un circolo vizioso dove il costante ricorso alla piazza, al palestinismo e a proposte come i salari minimi — senza mai affrontare la questione della produttività — si traduce in un impoverimento generale del dibattito politico.
È come vedere un film dell’orrore in cui i protagonisti non capiscono mai che la porta d’uscita è proprio davanti a loro.
Gli argomenti di chi sostiene la linea Schlein
Chi sostiene la strategia di Schlein ha le sue giustificazioni, che sono di certo discutibili.
Alcuni affermano che l’unico modo per “battere le destre” sia guardare alle ali estreme, magari nel tentativo di ottenere numeri sufficienti per formare un governo.
Ma fermiamoci un attimo.
Se “battere le destre” significa riportare al governo qualcuno che è noto per sperperare denaro pubblico e guarda a Mosca con occhio sognante, allora diciamo di no, grazie.
A destra, tutto sommato, stiamo assistendo a meno danni.
E se Salvini è tenuto a bada, forse non è il caso di lamentarsi.
Nonostante ciò, i piddini continuano a reiterare che questa strategia è imposta dall’attuale legge elettorale.
Ma ho un paio di osservazioni da fare.
Se così fosse, perché i 5 Stelle in passato sono cresciuti e hanno vinto senza associarsi al PD?
Evidentemente, la legge elettorale non era così insormontabile.
E se proprio non piace, si potrebbe sempre lavorare per cambiarla, anziché passare il tempo a sentire le urla di Landini dalle piazze.
Populismo vs. responsabilità: una lotta infinita
Certo, lavorare realmente per un cambiamento è dura.
È molto più facile abbracciare il populismo.
E qui sta il nodo cruciale.
Davanti a una società e a un paese che stanno prendendo una piega preoccupante, impoverendosi come un’Argentina pre-Milei, c’è chi preferisce il comodo abbraccio del populismo.
La politica del “tutto subito” si traduce presto in un “niente di duraturo”.
In conclusione, ci troviamo in un contesto dove il peronismo sembra aver attecchito, ma non per il bene del Paese.
Schlein e Conte sono due facce della stessa medaglia, una medaglia che, se non curata, rischia di perdere valore e significato.
Il rischio è che tutti noi, cittadini più o meno consapevoli, siamo costretti a vivere in un sistema che premia l’immediato invece del meritevole
E mentre ci poniamo domande sull’efficacia di tale strategia, possiamo solo sperare di avere occhi critici e cuori aperti per affrontare la realtà che ci circonda.