Ieri sera, Hamas ha rilasciato una dichiarazione che, a un primo sguardo, potrebbe sembrare una resa.

Ma non facciamoci ingannare: si tratta piuttosto di un abile gioco di prestigio, un po’ come quando il mago alza il velo per mostrare un coniglio, mentre in realtà nasconde un intero circo dietro di sé.

La pressione internazionale, sia araba che occidentale, ha spinto Hamas in un angolo, ma la sua dichiarazione è solo una questione di sopravvivenza politica più che di pace.

Non vogliono passare per quelli che affondano il Titanic e poi dicono: “Ehi, ma chi ha lasciato aperta la porta?”



Ma ora la vera domanda è: riuscirà Trump, il grande negoziatore del nostro tempo, a convincere Israele a mettere in pausa le operazioni militari per fare spazio al rilascio degli ostaggi?

Immaginate l’azzardo: il magnate di New York in giacca e cravatta, armato di tweet e tweet, prova a placare la situazione come un genitore che cerca di dividere i figli litigiosi.

Ma attenzione!

Questi intenti potrebbero rivelarsi un altro bluff “alla Putin”, con Hamas che fa finta di negoziare mentre manovra dietro le quinte.

In Israele, Netanyahu è stretto tra la roccia e un luogo di vacanza.

Da un lato, ha bisogno di presentarsi come il leader illuminato che cerca la pace, dall’altro deve evitare che i suoi ministri più radicali lo sabotino come un vecchio film di James Bond.

E mentre i sostenitori della pace applaudono, i falchi del governo si strofinano le mani in attesa di carne fresca.

È un balletto politico meraviglioso, con Netanyahu che guida la danza su di un filo sottile tra giustizia e opportunismo.

E non dimentichiamoci dell’ANP, un attore che gioca d’astuzia: Fatah sta cercando di tornare in piazza per il miglioramento della propria immagine, come un ex ragazzo pop che cerca di riallacciare un rapporto con il suo pubblico.

“Guardate, siamo qui per la pace!” gridano, mentre pensano a come sfruttare questa crisi per ottenere il potere.

E mentre la maggior parte dei palestinesi vive in Cisgiordania e solo saltuariamente schiva palle di cannone e bombardamenti, l’ANP spera di emergere come l’eroe della crisi.

Parliamo ora delle piazze italiane.

Cosa ci dicono queste manifestazioni?

Gli esperti si affannano a separare i promotori dalle masse in fuga, dimenticando però che in mezzo c’è un mare di gente che grida per giustizia.

È vero: alcuni sindacati e partiti di opposizione hanno visto in questa crisi una ghiotta opportunità per mettere in mostra la propria agenda politica.

Ma chi c’era in piazza?

Gente comune, che si sente in sintonia con le sofferenze altrui, sinceramente solidale con il popolo palestinese.

Quindi, insultare chi partecipa è come deridere chi va al cinema: non tutti assistono alla proiezione di un film d’autore, ma tutti cercano un po’ di intrattenimento.

C’è però un punto dolente: l’efficacia di queste manifestazioni. Nella migliore tradizione italiana, le piazze si riempiono, l’emozione è palpabile, ma il risultato… ah, il risultato è un po’ come un piatto di pasta riscaldato: buono, ma non proprio quello che ti aspetti.

Le manifestazioni non hanno avuto il potere di smuovere nemmeno un chiodo nei governi, né tantomeno di far tremare Israele o Hamas.

La matrice ideologica di queste manifestazioni è potente, quasi romantica, ma spesso si riduce a un’ossessione: Gaza è diventata il palcoscenico principale, mentre altre crisi (non dimentichiamo quella ucraina) vengono accuratamente scartate, come un vestito fuori moda.

Il supporto mediatico e la propaganda russa contribuiscono a creare un’atmosfera di indignazione che spinge le masse in piazza, senza però chiarire che ogni evento ha il suo contesto, e talvolta i fili s’intrecciano come in un bello spettacolo di marionette.

E così, tra un tweet di Trump e le dichiarazioni di Netanyahu, volti noti e manifestanti dal cuore in fiamme, la grande commedia continua.

La chiave è nel nostro modo di comprendere la situazione: la maggior parte delle persone nelle piazze agisce con sincerità, ma come sempre accade, la sincerità può essere una lama a doppio taglio. Dobbiamo chiederci: è possibile che stiamo applaudendo un dramma in costume quando in realtà il teatro è in fiamme?

Ecco, in questa tragicommedia della geopolitica, restiamo in attesa che qualcuno spenga le fiamme o, almeno, ci racconti una buona storia.

Di Admin

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