Quando si parla di Maurizio Landini, il sindacalista che più sembra un personaggio uscito da una commedia dell’assurdo, è difficile non lasciarsi prendere dalla tentazione di indagare sul suo linguaggio colorito.

La recente polemica sull’uso della parola “cortigiana” per definire la Presidente del Consiglio ha sollevato un vespaio di critiche e interpretazioni.

Landini, il cui lessico pare spesso rimanere intrappolato nel XIX secolo, ha tentato di giustificare la sua scelta lessicale affermando che “cortigiana” non era un insulto sessista, ma piuttosto una semplice referenza a chi fa parte della corte.

Certo, l’illuminante argomento potrebbe soddisfare solo chi è abituato a discorsi da salotto, ma al resto di noi sembrerebbe una manovra alquanto disperata, una di quelle acrobazie dialettiche che ricordano più il circo che il dibattito politico.

A voler essere onesti, i casi sono due.

O Landini ha voluto offendere in modo premeditato, ben conscio del fatto che nel gergo comune “cortigiana” è sinonimo di meretrice, o in effetti è semplicemente un ignorante che ignora le sfumature della lingua italiana.

Perché fatte le debite considerazioni, definirlo un genio della comunicazione sarebbe come dare il Nobel per la letteratura a un bambino che sciracchia le parole su un foglio.

E tutto ciò mentre gli operai della CGIL si grattano la testa cercando di capire come possano essere rappresentati da un leader che, evidentemente, non ha chiaro cosa possa significare il termine “responsabilità”.

Ma andiamo con ordine.

Se Landini avesse voluto davvero comunicare un messaggio di disprezzo, avrebbe potuto scegliere tra una miriade di opzioni linguistiche più chiare e meno ambigue.

Magari un “serva di Trump” o un “pappagallo del potere” avrebbero trasmesso il suo pensiero senza troppi giri di parole. Invece, con la scelta di “cortigiana”, sembra quasi che abbia voluto esprimere il suo disprezzo mentre si nascondeva dietro un dito, un po’ come chi insulta qualcuno sussurrando, sperando che nessuno lo senta.

Tuttavia, purtroppo per lui, quella strategia non funziona.

I social media sono lì per documentare le sue uscite, e gli italiani, si sa, sono sempre pronti a farsi una risata sulla cattiva gestione della verità.

E che dire del suo arroccarsi nell’idea di aver usato quel termine in senso figurato?

Qui si aprono le porte dell’ironia pura.

Nella nostra lingua, come nel miglior gioco di prestigio, le parole hanno un peso e una valenza.

La Treccani non lascia spazio a fraintendimenti: cortigiana, meretrice e prostituta sono tutte seduzioni verbali perfettamente riconducibili a un’unica, imbarazzante verità.

Eppure, Landini continua a difendersi come un leone in gabbia, pronto a ripetere la sua definizione alla prima occasione utile – perché, in fondo, perché scusarsi quando si può arrampicarsi sugli specchi?

Potremmo quindi concludere che la questione non si limiti a una mera offensiva linguistica, ma riveli anche un atteggiamento.

Un atteggiamento riflessivo di chi, in fondo, non si preoccupa troppo delle conseguenze delle proprie parole.

Qui entra in scena un secondo interrogativo: ma come fanno i lavoratori della CGIL a sopportarlo?

È evidente che il sindacalista è molto più interessato a questioni internazionali come Gaza, piuttosto che focalizzarsi sui contratti collettivi di lavoro.

I lavoratori, in questo caso, trascorrono le loro giornate a domandarsi se il loro leader sta correndo il rischio di trasformarsi nel classico “pittore di m……..”: affascinante per alcuni, incomprensibile per altri, mentre i muri vengono dipinti senza alcuna coerenza.

In definitiva, mai come oggi possiamo affermare che il dibattito su Landini trascenda la semplice questione linguistica.

Ci stiamo domandando se sia un diffamatore o un ignorante?

In entrambi i casi, ci troviamo di fronte a una figura che rappresenta qualcosa di più profondo nella cultura politica italiana.

Un’ossessione per il politically correct mescolata con un’enorme dose di arroganza, il tutto condito da frasi ad effetto che suonano a metà strada tra un comico di seconda categoria e un politico in cerca di consensi.

L’ironia che aleggia attorno alla figura di Landini ci invita a riflettere sulle vere priorità di un sindacato moderno.

I lavoratori meritano un leader che parli il loro linguaggio, e non quello di una corte medievale.

Ma in un’Italia dove i confini tra serio e faceto si confondono ogni giorno di più, chissà che Landini non si riveli il nostro eroe tragico, capace di unire in un’unica battaglia l’assurdo e il sublime… almeno fino al prossimo insulti.

Di Admin

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