Mentre il mondo attende con ansia l’imminente vertice tra Donald Trump e Vladimir Putin a Budapest, il quadro che si delinea è quanto mai desolante.

Già dal principio, la situazione appare simile a una commedia grottesca: un incontro di carattere diplomatico messo in pausa da richieste surreali da parte russa, e un preambolo saltato tra Marco Rubio e Sergei Lavrov, degno di un copione scritto da un autore inesperto.

Non è difficile intuire come questo tentativo di avvicinamento tra i due leader sia destinato a naufragare prima ancora di cominciare.

A rendere le cose ancora più drammatiche ci pensano le dichiarazioni della Polonia, che ha chiaramente evidenziato l’intenzione di portare Putin all’atterraggio forzato qualora osi avventurarsi nel proprio spazio aereo.

Bella trovata!

E in tutto questo caos, il presidente russo si ritrova con un’unica via d’uscita: un volo di cortesia attraverso la Serbia, come se fosse un passeggero in attesa della sua coincidenza.

Ma non c’è da stupirsi, considerando che né ucraini né europei sono disposti a concedere a Mosca nemmeno una briciola del Donbass.

In questo contesto di apparente destabilizzazione, gli Stati Uniti sembrano essere intrappolati in una ragnatela di indecisione.

Dovrebbero aver capito – o forse no – che le concessioni che Putin auspica non arriveranno mai.

Gli americani devono affrontare il fatto che l’uscita di scena del presidente russo potrebbe non essere un evento così remoto, eppure li vediamo continuare a perdere tempo dietro a proposte poco realistiche destinate a cadere nel vuoto, come foglie marce in autunno.

E se da un lato comprendiamo la volontà di Washington di evitare un crollo totale della Russia, dall’altro ci si interroga perché non agiscano di conseguenza.

Del resto, chi non vorrebbe approfittare di un’opportunità vantaggiosa?

Certo, cercare alleanze nell’entourage di Putin o nella sua opposizione è un compito complesso, ancor più in un regime dove ogni tentativo di dissenso viene stroncato sul nascere.

Tuttavia, restare impantanati nelle discussioni con Kyiv sembra essere l’unica strategia ben strutturata dalla Casa Bianca, che si erge come un colosso dai piedi d’argilla.

Il governo Trump per ora sembra seguire un’idea tanto semplice quanto fallimentare: costringere Putin a sedersi al tavolo delle trattative.

Ma mentre gli americani credono di aver individuato il tallone d’Achille del Cremlino – una Russia indebolita e stanca di conflitti – la realtà si ribalta clamorosamente

. La verità è che l’approccio di Trump ha già dimostrato di essere anacronistico; siamo al cospetto di un leader che esibisce la propria resilienza, snobbando ogni proposta di dialogo e riempiendo i corridoi di Budapest di un’aria di incomprensione.

Siamo giunti al punto in cui la Casa Bianca deve interrogarsi: che altre strade rimangono aperte?

La risposta, purtroppo, è sconcertante.

Senza strumenti di pressione adeguati, come i temuti Tomahawk, sembra che ben poco possa essere fatto.

E così, mentre Trump si nota intento a dialogare con Xi Jinping, è lecito domandarsi se la Russia rappresenterà un nuovo capitolo nel suo libro dei sogni diplomatici.

Si prospetta, quindi, un’alternativa affascinante: una rinnovata ricerca di soluzioni condivise!

E perché no?

Magari anche un accenno di ordine nel caos imminente che la Russia si mostra incapace di gestire.

In fondo, questo è il paradosso: mentre gli USA cercano di ritagliarsi una posizione di negoziato, l’Europa e l’Ucraina stanno rinforzando le proprie posizioni, segnalando che la vera sfida non è solo trovare un accordo, ma anche capire come affrontare un avversario che continua a rimanere chiuso in un angolo.

La storia ci ha insegnato che invocare il dialogo con un criminale ha pochi risultati e, paradossalmente, potrebbe costringere gli Stati Uniti a riflettere su un modo di operare più incisivo, piuttosto che fantastico.

Per concludere, l’incontro di Budapest si presenta come un sipario chiuso su una commedia di errori e malintesi, costringendo Washington a rivedere le proprie strategie nei confronti di un Putin che, con astuzia e determinazione, ha saputo dribblare tutti i tentativi di mediazione.

In un periodo di tensioni crescenti, l’arte della diplomazia sembra assomigliare sempre di più a un gioco di scacchi, ma con pedoni completamente distratti e re incapaci di muoversi nella direzione giusta.

Se ci fosse un modo per scrivere la sceneggiatura del prossimo atto, suggerirei di includere qualche dose di realismo e, chissà, magari una nuova trama.

Fotografia della Federazione Russa

Tassi d’interesse al 17%, inflazione oltre il 20%, riserve a soli 50 miliardi di dollari, e nessun rifinanziamento del debito in vista.

I dati demografici sono omessi, ma si stimano 2 milioni di persone scomparse.

A ciò si aggiunge un calo del 20% nelle vendite di petrolio e gas a causa delle azioni ucraine.

Opinione personale

Nonostante ciò, Travaglio interpreta l’occupazione di pochi km² al mese come una vittoria russa, ignorando che le guerre moderne si vincono per implosione, come dimostrano i casi di USA in Vietnam, Russi e Americani in Afghanistan, e Hamas a Gaza: uno dei contendenti cede per mancanza di fondi o personale.

Di Admin

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