
Nell’affascinante aula con travi a vista e mattoncini a vista, dove l’arte dell’architettura si sposa con la storia, Emanuele Fiano, ex parlamentare del Pd, si è trovato a dover affrontare non solo la sala, ma un vero e proprio campo di battaglia culturale.
La sua missione?
Parlarci di “pace dei due popoli per i due stati”. Ma già dopo solo mezz’ora, il suo sogno di un dibattito proficuo si è trasformato in un incubo di contestazioni, striscioni e disordini.
Già illuso dal titolo promettente dell’evento – “Voci per la pace.
Il cammino dei due popoli per i due stati” – Fiano sperava di presentare un messaggio di dialogo e comprensione
. Ma i malefici venti del dissenso erano già in agguato.
Mentre tentava di esprimere le sue idee, un gruppo di studenti di sinistra ha deciso che era ora di far sentire la propria voce – e quale modo migliore se non circondare la cattedra con striscioni colorati?
È interessante notare come, mentre lui cercava pace, questi giovani sembravano più propensi a una guerra di parole.
“Sono stato invitato dall’associazione Futura,” spiegava Fiano, quasi come se stesse cercando di giustificare il suo diritto a parlare in un’aula universitaria.
Ma, come sappiamo, la libertà di espressione è sempre un concetto nebuloso, soprattutto quando si parla di questioni delicate come il conflitto israelo-palestinese.
I membri del “Fronte della Gioventù Comunista” sembravano particolarmente infervorati, pronti a scattare in difesa delle loro convinzioni, come se la verità fosse un campo da battaglia piuttosto che un terreno comune da esplorare.
I social media, quel moderno pulpitum dell’opinione pubblica, avevano già iniziato a montare un clima di ostilità nei confronti di Fiano.
Era facile immaginare le discussioni animate tra gli studenti, mentre digitavano furiosamente contro quello che percepivano come un attacco al pacifismo e alla loro visione del mondo.
Ma la cosa divertente della questione è che l’ex parlamentare non aveva neanche avuto il tempo di dire qualcosa di particolarmente controverso.
Era sufficiente il suo nome per accendere gli animi.
Quando le cose sono diventate troppo incandescenti, gli organizzatori hanno deciso di dirottare il convegno in un’altra aula, quasi a voler nascondere Fiano come si farebbe con un adulto imbarazzante a una festa di compleanno.
Ma il nuovo angolo di discussione non ha trovato riposo, poiché i gruppi di sinistra non potevano permettere che un simile “crimine” rimanesse impunito.
Voce dopo voce, il dibattito si è trasformato in un caos e, ironicamente, ciò che doveva essere un’occasione di pace si è trasformato in una straordinaria dimostrazione di intolleranza.
Emanuele Fiano, figlio di Nedo Fiano, sopravvissuto ad Auschwitz, si trovava lì con il peso della memoria storica sulle spalle.
Nonostante questo, i suoi critici sembravano dimenticare che ci sono modi più produttivi di affrontare le differenze, come discutere civilmente anziché appallottolare striscioni e lanciarsi in insulti.
La verità è che spesso chi si presenta come il paladino della giustizia sociale può diventare il tiranno del dibattito – sorprendendo tutti con la loro mancanza di apertura-mente.
E la tragedia è che, nel farlo, soffocano proprio le voci che affermano di voler proteggere.
Invece di creare un forum inclusivo per lo scambio di idee, erigono barricate ideologiche, escludendo chiunque osi mettere in discussione la loro visione.
La loro “giustizia” diventa così un dogma intoccabile, e il dibattito si trasforma in un’eco camera dove solo le loro parole trovano risonanza.
Alla fine, la loro presunta nobiltà d’intenti si rivela una maschera per un’arroganza intellettuale che mina la vera essenza della libertà di pensiero.
Alla fine della giornata, cos’è rimasto di quell’incontro?
Forse un’interessante riflessione su come le università, che dovrebbero essere fucine di idee e dialogo, possano trasformarsi in teatri di battaglie ideologiche.
E mentre Fiano se ne andava, probabilmente non si sentiva affatto vincitore, ma piuttosto come un ricercatore di pace messo al bando in un luogo che avrebbe dovuto sostenerlo.
Che triste ironia, non credi?
Quindi, la prossima volta che pensi che l’università sia un posto dove si costruiscono ponti, sappi che potresti anche imbattersi in un campo di mine verbali.
In fondo, non siamo forse tutti un po’ come Emanuele Fiano quando si tratta di condividere le nostre idee?
Magari un giorno riusciremo a sentirci tutti abbastanza sicuri da parlarne apertamente, senza paura di essere circondati da striscioni minacciosi.
Ma fino ad allora, prepariamoci a scrivere nuove storie di conflitti nei luoghi più improbabili.
La Russa ha espresso vicinanza a Fiano, ritenendo però “azzardato” citare il fascismo come guida per i filo-palestinesi.
Suggerisce di riservare al fascismo le sue responsabilità storiche verso gli ebrei e di identificare le attuali ideologie filo-palestinesi con i loro nomi specifici, per maggiore onestà e accuratezza.
Conclusione:
Questa avventura di Emanuele Fiano all’Università Ca’ Foscari ci offre uno scorcio sulla realtà odierna, dove la libertà di espressione si scontra spesso con le passioni ardenti.
La domanda resta: quando impareremo a confrontarci senza striscioni, grida e battaglie?
Solo il tempo potrà darci una risposta, ma nel frattempo, continuiamo a osservare il teatro dell’assurdo che chiamiamo vita accademica.