Ottobre 2025, il cortile di Matignon.

Il sole splende su un Paese dove l’aria è così densa di tensione che persino le nuvole sembrano respirare a fatica.

È qui che Sébastien Lecornu, con il suo stile sobrio e l’aspetto che ricorda una versione giovanile di un primo ministro, annuncia le sue dimissioni.

Un momento drammatico, “molto cinematografico”, lo definirebbero alcuni.

Eppure, solo pochi giorni dopo, eccolo di nuovo rientrare dalla stessa porta, con quell’aria da “non m’abbattete, tornerò sempre”.

Questo balletto non è solo un incidente di percorso, ma piuttosto un classico esempio del referto clinico della Quinta Repubblica: un Paese nato per garantire governabilità, ora aggrappato alla pura sopravvivenza, come un pesce su una tavola da surf.

Ma andiamo per gradi.

Tutto inizia (o ricomincia) con la genialata di Emmanuel Macron, che decide di sciogliere l’Assemblea nazionale subito dopo le elezioni europee del 9 giugno 2024.

Una mossa, diremmo, degna di un mago: un gesto spettacolare, formalmente impeccabile, politicamente temerario.

L’Eliseo cercava un “chiarimento”, o forse un chiaroscuro, chissà.

Di fatto, il decreto di dissoluzione viene pubblicato sul Journal officiel, un bel colpo di scena.

Le urne di fine giugno e inizio luglio sono un vero e proprio capolavoro di confusione: un Parlamento senza maggioranza, tre blocchi reciprocamente allergici.

Immaginate la scena: un dibattito in corso, i deputati si guardano l’un l’altro come se stessero giocando a una scena di “Game of Thrones”.

Da quel momento, la Francia diventa un gigantesco palcoscenico per governi minoritari, dove ogni legge diventa una battaglia di trincea.

Invece dell’armistizio, solo piccole scaramucce politiche, e mai nessuna vera pace.

E così, mentre i politici si accapigliano, il Paese scivola in una sorta di coma politico.

Le leggi si accumulano come foglie secche in autunno, e ogni tentativo di approvare qualcosa di significativo viene accolto con scetticismo o, se va bene, con un’alzata di spalle.

Gli elettori si chiedono se il loro voto avesse senso; i politici si chiedono se ci fosse bisogno di un voto. Esattamente il tipo di scenario in cui i diritti civili vanno a farsi benedire mentre le promesse di riforme restano nel limbo, appese a un filo sottile di indecisione.

In questo contesto, l’ironia diventa l’unico strumento a nostra disposizione.

Perché, come si suol dire, in politica il ridicolo non uccide mai nessuno, anzi!

A qualcuno potrebbe perfino riservare un viaggio inaspettato, come quello di Lecornu.

Pensiamoci: dimettersi, ritornare, ripetere il tutto.

Un circolo vizioso che non solo tiene vivo il gioco, ma lo rende quasi divertente, se non fosse per le conseguenze.

L’ironia del destino fa sì che i francesi, quelli che un tempo scendevano in piazza per difendere i propri diritti, ora si trovino a contemplare l’opera di un governo che avanza come un vecchio carrozzone ferroviario, deragliando ad ogni scossa e facendo tintinnare i vetri delle finestre ad ogni passo falso.

Le bandiere sventolano, ma non nel modo in cui tutti speravano.

Anzi, è un balletto in cui ognuno è protagonista, ma nessuno sa bene quale sia l’obiettivo finale.

Sarà la governabilità?

La stabilità?

O semplicemente la voglia di sopravvivere ad un’altra stagione politica?

Già, perché il panorama non è dei migliori.

I cittadini sono stanchi, disillusi e, a volte, anche divertiti da questa commedia degli equivoci.

“Dove sta il nostro Macron?”

si chiedono, ignari che il presidente è già lontano, in cerca di nuovi orizzonti e, forse, di un po’ di tranquillità.

E non importa quanto si sforzi il governo di mantenere una facciata di normalità, la realtà è che ogni giorno sembra un’altra puntata della soap opera “Politica Francese”.

Gli indici di gradimento sono ai minimi storici e i programmi delle riforme rimangono in sospeso come un pantalone dopo il lavaggio: tutto in attesa di qualche buon consiglio su come procedere senza fare danni ulteriori

. La gente inizia a chiedersi se non sia il caso di tornare a votare.

Ma per cosa, di grazia?

Per un altro governo che probabilmente non sarà in grado di prendere decisioni?

O forse per un leader che possa finalmente rompere questo ciclo di indecisione?

Ma ci immaginiamo un nuovo volto in ascesa, pronto a guidare la nazione verso lidi idilliaci?

Forse il carteggio di qualche potente lobbista potrebbe rivelare la formula magica, ma i politici, ahimè, sono abituati a camminare in equilibrio su un filo, mentre il pubblico assiste a questo tragico ma esilarante spettacolo.

E così, la Francia, un tempo faro dell’illuminismo, oggi sembra più una caricatura, in cui i politici danzano al ritmo di una musica che nessuno può sentire.

In tutto questo caos, la storia di Lecornu diventa simbolo di un malessere più ampio; una narrazione viva di un sistema che non trova pace.

Le dimissioni e il ritorno sono il sintomo di una lotta continua tra desiderio di cambiamento e paura di ciò che verrà.

Un Paese che riflette su stesso, rinviando l’inevitabile.

Un cortile di Matignon che, più che una sede istituzionale, diventa un palcoscenico di absurdistan.

Come si può riassumere questa situazione?

Qualcuno nel cortile di Matignon l’ha definita una “farsa”.

Ma sarebbe più corretto chiamarla una tragedia comica, dove gli attori, pur nella loro serietà, non possono fare a meno di apparire ridicoli.

E mentre il sipario sulla Quinta Repubblica sembra chiudersi, ci si interroga su cosa ci riservi il futuro.

Un cambio di scena?

Un altro atto di questo dramma?

Oppure una nuova commedia, con volti freschi e idee nuove?

Probabilmente, solo il tempo lo dirà.

Ma una cosa è certa: finché ci sarà vita nel cortile di Matignon, ci sarà sempre spazio per l’ironia di fronte all’assurdità di un sistema che, nella sua complessità, sembra ormai vivere in un eterno presente.

Un Paese che non decide e che, in mancanza di una revisione radicale, sembra destinato a rimanere intrappolato in un limbo di incertezze e dilemmi.

E mentre il mondo esterno avanza, la Francia resta a guardare, con un sorriso malinconico, mentre il suo governo danza al suono di una musica che non sembra avere mai fine.

Di Admin

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